L’anima più popolare e tradizionale del settecento si riversa nell’arte di Pietro Longhi (Venezia 1702-1785). Costui come un corrispettivo pittorico della commedia di Goldoni dà sfogo a un sentire “di genere”, rappresentante delle scene intime di vita quotidiana, la sfera dei lavori umili, il folklore popolare, l’invettiva, lo scherzo.
Con il sottofondo di un concerto per flauto di Mercadante si apre lo scenario: ambienti vetusti degli interni dei palazzi, scorci delle camere ordinarie, soggetti intenti nelle loro attività, una dedizione peculiare all’oggettistica, intrisa di simbolismo. Personaggi dotati del tipico habitus veneziano con mantello nero, cappello tricorno, e maschera bianca, donne di dubbia fama, i “bassifondi del 700”. L’ altro versante raffigura usi e costumi di popolani in mansioni domestiche o gesti insignificanti, abitudinari. Come dei fermi immagine, resi sfocati dalla tecnica pittorica che effonde un’atmosfera rarefatta, tratti accennati che stilizzano i volti, spesso ripetuti nella loro effigie quasi iconica di un’espressione consolidata.
Longhi non dà vita solo all’anima settecentesca italiana, come Amigoni, Carriera Rosalba, Crespi, ma in lui sono presenti le influenze di altri artisti di respiro internazionale quale Chardin e Watteau. La tensione nella scena, il senso dell’attesa silente, un lento muoversi dei personaggi, la morbidezza della gestualità, un senso misterico della vicenda rappresentata: tutto riconduce all’estetica di stampo più internazionale.
Opinione assodata dell’eccelso Roberto Longhi, critico d’arte toscano “a rebours”, che stigmatizza l’arte di Longhi nel panorama più esteso dell’arte “verista” europea. La sua arte è fedele al vero, ha come monito la riproduzione del reale senza estrosità, ma la parola d’ordine è verità. Egli riprende il filone consunto della “pittura di genere” fiamminga del seicento, contestualizzandolo nel settecento. Dai colori pastelli tipici dell’epoca a tinte più calde, quasi “monocordi”, a volte stesi con una certa sommarietà, “l’uomo che cerca il vero”, definito così da Goldoni, Longhi cristallizza il modo di sentire di un’epoca, dal fasto del rococò all’intimismo popolare.
Costanza Marana