Sono e resto della convinzione che formarsi e conoscere debba tradursi in un tagliente e preciso affinamento dei sensi. Ampliare le proprie conoscenze non è mai un’operazione fine a se stessa, tantomeno una mera esposizione di competenze per compiaciuti curricula d’inutilità. Se la conoscenza non ci aiuta a capire, a tradurre ed interpretare, perde la sua più intima e libera essenza.
Spesso ci fermiamo non tanto alla superficie ma all’esempio del “precedente”. Giusto per avere un’idea: noi abbiamo una visione dell’autoritarismo ancora intimamente legata al paradigma dei totalitarismi, il che va anche bene, ma sarebbe sano tentare di andare oltre, cercare più chiavi di lettura. In fondo ogni forma di autoritarismo ha un minimo comun denominatore: porre lo scopo che si prefigge al di sopra della collettività e, se è possibile, indirizzare – anche in modo coercitivo – quest’ultima al raggiungimento di questo scopo. Da questo terrificante assioma non se ne esce. Vale per ogni forma di autoritarismo. Per ora i fini non ci interessano, possono essere tanti: dal delirio della creazione di una razza superiore, alla grottesca bufala dell’esportazione della democrazia con la guerra, dal lebensraum nazista al “lebenkredit” delle varie troike in giro, non è il modo o la sua espressione ad avere una priorità in questo momento, ma il metodo, perché è quest’ultimo a rappresentare una significativa novità.
Oggi il metodo per limitare i diritti acquisiti è retroattivamente apologetico. Mi spiego meglio: spesso sentiamo parlare di “crisi della Democrazia” e tutti noi siamo portati ad avallare tale tesi dandola ormai per scontata. Quello che mi fa specie in tutto ciò è che sono proprio i nostri rappresentanti, eletti “democraticamente”, a portare avanti le argomentazioni a favore della crisi dei principi democratici. E’ un po’ come se io chiamassi l’idraulico per aggiustarmi il rubinetto che perde, e lui, invece di aggiustarmelo, semplicemente mi conferma il danno: “eh sì perde caro signore! Sono 120 euro!”, e se ne va! Ovviamente l’idraulico è un imbecille, ma ancora più idiota sono io che per lo pago, no?
Quello che vorrei capire è esattamente: quando la crisi della democrazia è divenuta strutturalmente insanabile e, soprattutto, chi ha deciso questa insanabilità a mia insaputa? No perché un minimo di coordinate le voglio! Gli stati sembrano – bene o male – reggere, le loro costituzioni – ho notizia – sono ancora in vigore, noi – a morsi e gomitate spesso – andiamo ancora a votare, quindi gli strumenti a quanto pare ci sono tutti; perché allora la democrazia è in crisi? E, soprattutto, perché siamo convinti che sia in crisi?
Bé spargere la voce in giro che le nostre istituzioni e il nostro stile di vita siano in pericolo aiuta: dare un’eco pandemica e catastrofista a singoli e terribili attentati terroristici – sempre più disperati – ci spaventa, e con la paura che ci sta col fiato sul collo siamo sempre più bendisposti a “cedere” libertà in cambio di sicurezza; ma a ben vedere le istituzioni sembrano tutt’altro che in pericolo; anzi, fanno sempre più quadrato e si distanziano anni luce dalla vita reale. Lo stesso vale per il nostro stile di vita: nonostante il timore di attentati e il terrorismo internazionale la gente esce, viaggia, continua la propria vita, e non certo per eroismo, ma “più semplicemente” perché non può fare altrimenti. Il nostro non si può ridurre a un semplice stile di vita, ma è oramai un modo acquisito ed oramai essenziale di vivere, difficilmente minabile per necessità e consuetudine. E’ molto più facile prevedere che tenderà ad implodere anziché esplodere per cause esterne.
In definitiva persino credere che gli estremismi possano trarre qualche vantaggio dal terrorismo è, in fondo, un’esagerazione montata a mestiere. Per i francesi, ad esempio, le minacce di improvvise svolte a destra sono sempre stati efficaci strumenti per “raddrizzare e tenere sulle spine” i partiti di governo. Difficilmente farebbero governare dei fascisti (al massimo possono permettersi – per puro sciovinismo – il Gollismo) però sanno come usare elettoralmente il continuo timore di votare in massa a destra. Stiamo parlando di un popolo consapevole, che è convinto (erroneamente) di aver inventato la democrazia moderna, qualsiasi identificazione con caotiche accozzaglie nostrane è piuttosto improbabile.
Quello che mi piacerebbe esprimere è che in fondo la democrazia – per sua stessa essenza – è sempre stata in crisi, vive sempre minacciata, ma dai tempi di Atene, e non può che esser così. La democrazia è un po’ come la ricerca della felicità: una continua e mai perfetta conquista; solo il realizzarsi dell’infelicità é intima e durevole vocazione: ci basta innalzare l’oggetto della nostra tristezza a meta dei nostri desideri ed è fatta, la vocazione alla tristezza è realizzata, ma la ricerca della felicità è un itinere, un percorso.
Ciò che realmente temo non sono le minacce esterne – per quanto pericolose – ma quelle che covano da sempre – come fuoco sotto la cenere – nelle viscere stesse delle istituzioni democratiche; temo alcune forze o singole propaggini che mirano a prendere un autoritario sopravvento sulle altre e sui diritti acquisti della collettività con il pretesto della sicurezza dei cittadini; e quando questo si realizza in modo tacito con il beneplacito degli stessi garanti liberali dei principi democratici e il silenzio assenso dei cittadini – pronti entrambi a delegare urgenze e responsabilità – allora sì che la vera crisi della democrazia non solo si realizza, ma si è già realizzata. E’ il lento e silenzioso “decadere” della nostra consapevolezza del presente a giudicarci, il non aver chiara la pericolosità delle forze in gioco che ci circondano a farci precipitare con colpevole inconsapevolezza in ciò che “teoricamente” non vogliamo o rifiutiamo. Quando avremo trovato rassicuranti alibi sarà già tardi. La democrazia – più indotta ad esser malata che morta- ci chiede vigile protezione, attenta cura, sana consapevolezza. E’ nella nostra indifferenza che germoglia la sua crisi.
fonte immagine piccoloaigialos