Nel 2.158 forse avremo la parità di genere. Vedremo donne che occupano posizioni di rilievo in politica, capi partito, presidenti del consiglio, presidenti della repubblica; forse non sentiremo più commenti sulle donne che occupano posizioni di vertice come se fosse un privilegio, una concessione, una merce rara. Solo il fatto di sottolinearlo dimostra arretratezza culturale e sociale.
Vedremo poi anche donne nelle grandi aziende, nei cda delle amministrazioni, nelle sale del potere. Ma tutto questo avverrà tra 135,6 anni. Noi non vivremo abbastanza per vederlo.
Lo studio
Il dato è consegnato dal Global Gender Gap Report del Forum economico mondiale che fornisce una fotografia del divario di genere nel mondo. Per ogni nazione l’indice fissa uno standard del divario di genere basandosi su criteri economici, politici, educazione e salute, e fornisce una classifica dei paesi, permettendo un confronto efficace sia tra regioni che gruppi di reddito nel tempo.
Il Nord Europa mantiene il primato
In testa alla classifica della parità si mantengono i Paesi nordeuropei, a partire da Islanda, Finlandia, Norvegia e Svezia. Quest’ultima è preceduta dalla Nuova Zelanda e seguita dalla Namibia. Germania e Francia occupano rispettivamente le posizioni 11 e 16, mentre gli Usa sono solo al 30esimo posto.
L’Italia recupera ma va ancora male
Il nostro Paese nonostante tutte le difficoltà vissute dalle donne che sono state le più colpite dalla crisi economica causata dalla pandemia, segna un miglioramento degli indicatori: guadagna 14 posizioni, rimanendo comunque al 62esimo posto su 156 economie prese in considerazione (nel 2020 era 76esima). Ma deve migliorare ancora su molti fronti, in primis quello economico. I redditi femminili in media sono del 42,8% più bassi rispetto a quelli degli uomini. E anche quando svolgono mansioni simili le donne scontano ancora un gap di ben il 46,7% rispetto agli stipendi dei colleghi. Pesa anche il fatto che troppe donne lavorino part time a causa del carico familiare.
L’Italia è invece al 41esimo posto nella scala dell’emancipazione politica femminile e 33esima quanto a numero di donne con posizioni ministeriali.
Le materie Stem
Tasto dolente sono le donne impegnate nelle materie Stem. Tema sollevato nei giorni scorsi dal Presidente del Consiglio, Mario Draghi. “Realizzare il pieno potenziale della ricerca vuol dire puntare su chi è stato spesso ai margini di questo mondo: le donne. Per troppo tempo le posizioni di vertice nella ricerca scientifica sono state appannaggio degli uomini”, ha dichiarato durante una visita ai laboratori del Gran Sasso. “Sono ancora troppo poche le ragazze che scelgono studi scientifici e solo una su 5 sceglie le materie Stem”.
Draghi ha annunciato che sarà investito “oltre 1 miliardo per potenziarne l’insegnamento”, anche per “superare gli stereotipi di genere” e portare la percentuale “al 35%”.
Al momento, secondo il Rapporto, la partecipazione femminile ai corsi di studio nelle materie Stem (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) è del 15,7% delle laureate, la metà rispetto ai maschi (33,9%).
La pandemia ha peggiorato la situazione
Ebbene se dobbiamo aspettare quasi 136 anni per vedere la parità di genere, ne dovremmo aspettare 36 in più causa pandemia, dice il Rapporto di Ginevra. Saremo nel 2.194, per intenderci (giusto per fare del sarcasmo).
La pandemia ha fatto crollare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, non solo in Italia ma in tutto il mondo. In parallelo sono diminuite le opportunità per le ragazze e le madri hanno dovuto prendersi carico doppiamente dei figli e della famiglia. Il risultato è che il Covid ha allontanato di altri 36 anni il momento in cui a livello globale dovremmo raggiungere l’uguaglianza di genere.
Nonostante si stiano creando condizioni di parità in termini di “educazione e condizioni sanitarie”, si legge nell’analisi, “le donne non hanno le stesse opportunità, fronteggiano ostacoli economici, un peggioramento della partecipazione politica e difficoltà nel mantenere il posto di lavoro”.
Marta Fresolone