15 dicembre 1969, Giuseppe Pinelli, partigiano e anarchico, muore precipitando dalla finestra della questura di Milano.
Quella sera a Milano era caldo.
Ma che caldo che caldo faceva.
“Brigadiere apra un po’ la finestra.
E ad un tratto Pinelli cascò.
Giuseppe Pinelli nel 1944-45 partecipa alla Resistenza, come staffetta della Brigata autonoma Franco, conosce l’anarchico Angelo Rossini, e anche dopo la fine della dittatura fascista continuerà l’attività nel movimento anarchico.
Pino per i partigiani e per gli amici, vince il concorso nelle Ferrovie dello Stato nel 1954, nel 1965 è tra i fondatori del circolo anarchico a Milano intitolato a Sacco e Vanzetti.
Nel 1969 il questore Guida dirige la questura di Milano, egli era stato direttore della colonia di confino politico dell’isola di Ventotene, dove venivano incarcerati i prigionieri politici contro il regime, anche Sandro Pertini prigioniero conobbe lì il fascista Guida.
Guida, che era stato un fedele accolito di Mussolini, capì che il regime stava per cadere. Avendo ottenuto il trasferimento da Ventotene a Roma, pare che qui, abbia svolto una attività di fiancheggiamento con la resistenza, in questo modo evitò l’epurazione e fu tra i beneficiari dell’amnistia di Togliatti e rimase in polizia.
Nel 1969 è questore a Milano, fu lui a dirigere le indagini sulla Strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969, spingendo verso la pista anarchica.
Fu coinvolto, come superiore del commissario Luigi Calabresi, nel caso della morte per defenestramento dell’anarchico Giuseppe Pinelli.
Ci fu chi ebbe coraggio e denunciò che la morte di Giuseppe Pinelli non fu un suicidio ma un omicidio da parte delle forze dell’ordine.
Sandro Pertini, nel 1970, Presidente della Camera, arrivato in visita alla Stazione di Milano Centrale, si rifiutò di stringere la mano al questore Guida, con il suo gesto eclatante fece capire che aveva dei dubbi sulla collaborazione di Guida con la Resistenza ma soprattutto che su questi “gravava l’ombra della morte” di Giuseppe Pinelli.
Molti non credettero al suicidio di Pinelli, tranne i partiti, soprattutto il PCI e il PSI, mentre Indro Montanelli fu il primo a non credere alla pista anarchica per la strage di Piazza Fontana.
Il 13 giugno 1971 in una lettera aperta all’Espresso, un centinaio di intellettuali denunciarono l’ “arbitrio calunnioso” di Guida, in quanto aveva sostenuto che Pinelli si era suicidato.
Pinelli era stato arrestato il 12 dicembre subito dopo la Strage di Piazza Fontana, ma tre giorni dopo, il 15 si trovava ancora in questura, illegalmente, perché erano scadute le 48 ore e il fermo era diventato illegale.
La notte fra il 15 e il 16 dicembre, durante un interrogatorio da parte di Antonio Allegra, responsabile dell’Ufficio politico, del commissario Luigi Calabresi, di quattro agenti, Vito Panessa, Giuseppe Caracuta, Carlo Mainardi, Pietro Mucilli e del tenente dei carabinieri del Sisdi Saviano Lograno, Pinelli precipitò dalla finestra dell’ufficio al quarto piano della questura in un’aiuola sottostante.
All’ospedale ci arrivò già morto.
La versione del questore Guida, insieme ad Antonio Allegra ed il commissario Calabresi, nella conferenza stampa fu quella del suicidio.
Questa è la loro versione:
” Improvvisamente il Pinelli ha compiuto un balzo felino verso la finestra che per il caldo era stata lasciata socchiusa e si è lanciato nel vuoto.”
Il 12 dicembre fa caldo a Milano?
Un uomo di 41 anni, arrestato tre giorni prima, senza dormire, torturato ha ancora la capacità di fare un balzo felino e buttarsi dalla finestra del quarto piano senza che nessuno dei presenti riesce ad afferrarlo?
La verità è che Guida nutriva un odio particolare per gli anarchici, anche il 25 aprile 1969 con l’esplosione delle bombe a Milano sempre ad opera di Ordine Nuovo, il questore aveva fatto arrestare gli anarchici che saranno assolti nel giugno 1971.
La pista Nera, quella dei fascisti non si doveva cercare, dovevano essere colpiti gli anarchici, in fin dei conti avevano l’appoggio anche del PCI che privilegiava la pista anarchica anziché quella fascista.
È il direttore del giornale “Lotta Continua” Pio Baldelli che insinua che Pinelli non si è suicidato, ma che è stato buttato dalla finestra. Calabresi denuncia il direttore e si apre il primo processo, peccato che il presidente della Corte Carlo Biotti non crede alla tesi del suicidio e ordina la riesumazione della salma e la relativa autopsia.
Che strano! Carlo Biotti viene ricusato prima in corte d’appello, poi sospeso da ogni incarico, infine, accusato di verbale rivelazione di segreti d’ufficio (si sostenne che aveva già comunicato ad altri la sua convinzione di giudizio), prima con un procedimento disciplinare e poi con un processo penale.
Tuttavia gli organi di stampa incominciarono a parlare non più di suicidio, e sostenere che la salma di Pinelli presentasse una lesione compatibile con quelle che può provocare un colpo di Karate. Ci andarono forte con i colpi per far parlare Pinelli, forse i giovani poliziotti inesperti, arrabbiati perché non riuscivano a far parlare l’anarchico, colpirono pesantemente.
Fra un processo e l’altro viene ucciso il commissario Calabresi. Anche questo omicidio non è stato mai chiarito, l’opinione della moglie di Pinelli è che forse è stato ucciso non per vendetta ma per farlo tacere sulla responsabilità dei suoi capi.
Molti dubbi i processi sulla morte di Pinelli hanno lasciato:
- Perché l’ambulanza viene chiamata prima della caduta?
- Perché non avrebbe urlato durante la caduta?
- Perché sulle mani non avrebbe avuto nessun segno che mostrasse tentativi di proteggersi dalla caduta?
- Ed infine come mai nessun dei poliziotti presenti all’interrogatorio riuscirono a fermare Pinelli?
Quella sera a Milano era caldo, ma che caldo, che caldo faceva. “Brigadiere, apra un po’ la finestra”. Ad un tratto Pinelli cascò.
Nessuno dei presenti ha mai sentito il bisogno di affermare la verità, la notte si dorme tranquilli, i sogni non verranno mai disturbati da Pinelli e Calabresi.