Tanto tuonò che piovve. Non esiste frase migliore per commentare l’indicazione del neo presidente degli Stati Uniti Donald Trump riguardo la poltrona di Segretario di Stato (de facto il Ministro degli esteri e capo della diplomazia statunitense), assegnata a Rex Tillerson. Ma chi è Tillerson?
64 anni, ingegnere, amministratore delegato della Exxon Mobil, la scelta di Tillerson è stata molto osteggiata da diversi notabili del partito Repubblicano, oltre che dai Democratici. Entrambi hanno sparato a palle incatenate contro di lui: in particolare, dall’interno del Partito Repubblicano, la protesta più dura è arrivata dal senatore dell’Arizona John McCain, ex candidato alle presidenziali del 2008, e ritenuto una delle voci più autorevoli in materia di politica estera all’interno del partito.
In particolare, McCain ha posto l’accento sui rapporti strettissimi tra Tillerson e Putin allacciati fin dagli anni novanta, quando Tillerson supervisionava un progetto di esplorazione e sfruttamento petrolifero nell’isola di Sachalin (Siberia) per conto della Exxon. Rapporti poi proseguiti negli anni, fino alla firma di accordi con la compagnia petrolifera russa Rosneft (2011), guidata dal fedelissimo di Putin Igor Sechin. Nel 2013 Putin conferì a Tillerson l’Ordine dell’Amicizia, la massima onorificenza russa riservata ai cittadini stranieri, e nel 2014 Tillerson prese pubblicamente una posizione contraria alle sanzioni decise da Obama contro la Russia per la guerra in Ucraina. In pratica, i repubblicani lo accusano di essere una sorta di quinta colonna all’interno della nazione, molto più accondiscendente verso la Russia rispetto alla politica dell’America first finora seguita.
In realtà, la nomina di Tillerson è perfettamente funzionale all’indirizzo che Trump vuole dare alla sua politica estera: una netta sterzata rispetto al passato nei rapporti con la Russia, arrivando (gradualmente) ad un avvicinamento che permetta di imbrigliare in qualche modo la Cina, considerata dal neopresidente il vero avversario degli Stati Uniti.
Il vero motivo che invece dovrebbe far riflettere sulla nomina di Tillerson, invece, è stato tralasciato dai suoi oppositori interni. Sarà in grado di guidare il dipartimento di Stato in funzione degli interessi del suo paese, piuttosto che dell’azienda di cui ancora detiene 150 milioni di dollari in azioni e che agisce in 50 paesi sparsi su sei continenti? A parte il Washington Post e il senatore Repubblicano Rubio, nessuno ha ancora posto questa domanda, che esplica efficacemente l’enorme conflitto di interessi del prescelto Segretario di Stato.
E’ questa la vera ragione per adombrare dubbi sulla bontà della scelta di Trump, nessun’altra.
Lorenzo Spizzirri