La ninnananna di Trilussa: versi (agro)dolcissimi contro la guerra

La ninnananna di Trilussa fa piazza pulita delle retoriche pro-belliche

Risale al 1914 un’opera oggi spaventosamente attuale: una ninnananna di Trilussa contro la guerra. Schierato contro l’intervento italiano nella prima guerra mondiale, il poeta dialettale romanesco nella sua Ninna nanna de la guera portava alla ribalta una scomoda verità. Cioè che in ogni guerra ci guadagnano in pochi, mentre la collettività non può che perderci.

Mi chiedo quante madri e quanti padri abbiano stretto forte al petto i propri bambini in questi giorni in Ucraina. Mi chiedo quali canzoni e quali ninnenanne, per tranquillizzarli e tranquillizzarsi, abbiano cantato loro mentre fuggivano verso il confine o aspettavano la fine del mondo. Di che parlano quei canti? Forse di tutto, forse di niente. Forse servono a sognare un mondo migliore. O magari, come la ninnananna di Trilussa, servono a prendere la parola contro quella che è e sarà sempre, come ogni guerra, una «inutile strage».




Ninna nanna de la guera: la ninnananna di Trilussa in difesa della pace

Correva l’anno 1914. L’opinione pubblica era spaccata tra neutralità e intervento nella Prima Guerra Mondiale. Il fronte pacifista aveva prodotto numerose opere anti-interventiste, ma a riscuotere il maggiore successo era una delle più insospettabili: una ninnananna. Dalla Capitale, dove era nata, si era diffusa come per contagio in tutta Italia: la si cantava per le strade, alle manifestazioni, perfino nei circoli intellettuali. Più avanti, avendo prevalso il fronte interventista, quando tacevano i latrati dell’artiglieria e degli assalti, la si sarebbe sentita cantare anche nel silenzio delle trincee. Era la ninnananna di Trilussa: versi dolcissimi e piani in dialetto romanesco capaci di spiegare l’atrocità della guerra anche a un bambino. E di far venire voglia, a quegli adulti che il conflitto l’avevano voluto a ogni costo, di nascondersi sottoterra.

Che cos’è la guerra?

A questa domanda aveva già risposto, fin dall’inizio del conflitto, papa Benedetto XV, definendo ciò che avveniva in Europa «un’inutile strage». Trilussa (pseudonimo di Carlo Alberto Salustri), poeta dialettale romanesco amatissimo dal popolo e dalla borghesia, nel suo testo si spinge oltre. Mettendo a nudo il grottesco teatrino dei potenti e gli interessi economici responsabili dello spargimento di sangue. Va tenuto presente che i versi di Trilussa, anche se mordaci, si contraddistinguevano per un carattere essenzialmente bonario. Quella che segue, invece, è a tutti gli effetti un’invettiva. La cui acredine, probabilmente, discende dalla profonda consapevolezza della piega che prenderà la vicenda per il popolo italiano. Infatti, in essa si legge:

Ninna nanna, nanna ninna,/ er pupetto vò la zinna:/ dormi, dormi, cocco bello,/ sennò chiamo Farfarello / Farfarello e Gujermone / che se mette a pecorone,/ Gujermone e Ceccopeppe / che se regge co le zeppe,/ co le zeppe d’un impero / mezzo giallo e mezzo nero.// Ninna nanna, pija sonno / ché se dormi nun vedrai / tante infamie e tanti guai / che succedeno ner monno / fra le spade e li fucili de li popoli civili.// Ninna nanna, tu nun senti / li sospiri e li lamenti / de la gente che se scanna/ per un matto che commanna;/ che se scanna e che s’ammazza / a vantaggio de la razza / o a vantaggio d’una fede / per un Dio che nun se vede,/ ma che serve da riparo / ar Sovrano macellaro.//

La ninnananna di Trilussa: tentativo di dare la sveglia a un “popolo cojone”

La denuncia del poeta romanesco non si ferma alle colpe di Guglielmo II di Germania (Gujermone) e Francesco Giuseppe I d’Asburgo. Che, comunque, sono significativamente accompagnati da Farfarello, figura demoniaca della tradizione popolare, e riassunti nell’eloquente etichetta di «Sovrano macellaio». Tanta parte delle colpe, nella ninnananna di Trilussa, spetta a un altro attore di non secondaria importanza: il popolo. Si legga, infatti, il seguito della Ninna nanna de la guera, che dice:

Chè quer covo d’assassini / che c’insanguina la terra / sa benone che la guerra / è un gran giro de quatrini / che prepara le risorse / pe li ladri de le Borse. // Fa la ninna, cocco bello, / finchè dura sto macello: / fa la ninna, chè domani / rivedremo li sovrani / che se scambieno la stima / boni amichi come prima.// So cuggini e fra parenti / nun se fanno comprimenti:/ torneranno più cordiali / li rapporti personali. // E riuniti fra de loro / senza l’ombra d’un rimorso,/ ce faranno un ber discorso / su la Pace e sul Lavoro / pe quer popolo cojone / risparmiato dar cannone!

Il problema sorge infatti, sembra dire Trilussa, non solo a causa degli interessi politici ed economici di chi governa. Ma anche con la connivenza di chi è governato, che è anche chi della guerra fa maggiormente le spese.

Una ninnananna per la guerra di oggi

Molti di noi sono cresciuti o sono vissuti per una buona porzione della propria vita con l’idea della guerra come qualcosa di remoto. Nel tempo, o almeno nello spazio. L’idea che la guerra possa toccare l’Europa di oggi e le nostre vite risulta difficilissima da affrontare e da mettere in ordine a parole. Eppure, va fatto. E va fatto, a parere di chi scrive, ripartendo anche da opere come la ninnananna di Trilussa. Opere che dicano forte e chiaro ciò che non dovrebbe essere necessario ribadire, ma che a ogni buon conto diventa irrinunciabile tornare a ripetere. Che non c’è guerra che possa essere giusta, legittima, necessaria. Arretrare anche solo di un passo da questo punto significa riprendere sentieri già battuti che, lo abbiamo visto, non portano da nessuna parte.

Valeria Meazza

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