La necessità di lottare contro la crescente disuguaglianza

crescente disuguaglianza Disuguaglianze: Chiara Volpato ne indaga le radici psicologiche

In Italia, una delle problematiche più urgenti è la crescente disuguaglianza tra le sue diverse regioni, tra le generazioni, e tra le aree urbane più sviluppate e quelle meno fortunate. Questa tendenza rappresenta una sfida significativa che richiede soluzioni immediate e un impegno a lungo termine per promuovere l’equità e il benessere per tutti i cittadini italiani.


Nel cuore dell’Italia, una tela intricata di disuguaglianze si sta dipingendo, disegnando una mappa di disparità sempre più intricata tra le sue diverse regioni. In questo panorama complesso emergono divisioni tra nord e sud, tra il fulgore delle città e la fragilità delle comunità periferiche, tra i diversi generi e le generazioni, e tra chi affolla le liste dei ricchi e chi sprofonda in quelle dei poveri. Questo quadro caleidoscopico di disuguaglianza si sta diffondendo come un’ombra oscura sulla nazione.

Le statistiche spietate rivelano una realtà crudele: più di 5,6 milioni di individui vivono in una condizione di povertà estrema, mentre altri 8 milioni sono intrappolati in una povertà relativa. Queste cifre raccapriccianti coinvolgono quasi il 23% della popolazione italiana, una proporzione che non può essere trascurata. Ancora più allarmante è il fatto che oltre 3 milioni di lavoratori, nonostante il loro impegno instancabile, sono schiavi della povertà. L’incubo della disoccupazione giovanile, al 22%, si intreccia con la sfida della parità di genere, con una disoccupazione femminile del 10,2%. Nel Mezzogiorno, questa tempesta di precarietà è amplificata, con la Svimez che predice che con le nuove misure, 760 mila persone rischiano di essere catapultate nella povertà assoluta, senza alcun appiglio. Al posto di incoraggiare la creazione di nuovi posti di lavoro, c’è il pericolo che si aumenti il numero di lavoratori poveri, promuovendo l’espansione del lavoro nero e precario.

Nelle regioni meridionali, dove la precarietà è una costante, si susseguono problemi di dispersione scolastica e la mancanza di servizi pubblici, inclusi quelli socio-sanitari e per l’infanzia. Sorprendentemente, il governo sembra rispondere a queste sfide con proposte inadeguate o, peggio ancora, controproducenti, come l’idea di una flat tax, la liberalizzazione dei contratti a termine e l’ampia diffusione dei voucher, misure che rischiano di acuire le disuguaglianze invece di attenuarle.

In questo contesto inquietante, potrebbe essere necessario considerare seriamente il ritorno a un reddito minimo universale? Dovremmo perseguire l’implementazione di un sistema che fonda un sostegno finanziario su programmi attivi di inclusione sociale e lavorativa, coinvolgendo attivamente le comunità locali e i Comuni. Questo richiede anche una riforma profonda del sistema di welfare locale e un potenziamento delle infrastrutture per i servizi di lavoro.

Uno degli effetti più devastanti della fragilità economica è la povertà sanitaria e l’accesso limitato alle cure mediche. La salute dovrebbe essere un diritto fondamentale garantito a tutti, ma purtroppo, la realtà è diversa. Barriere economiche, sfide geografiche, infrastrutturali e di consapevolezza limitano l’accesso alle cure mediche. Ad esempio, una persona in povertà dispone solo di 10 euro al mese per le spese sanitarie, mentre chi supera la soglia di povertà ha quasi sette volte di più, ovvero 66 euro. Per quanto riguarda i farmaci, una persona in situazione di vulnerabilità può destinare solo 5,85 euro al mese, mentre chi è sopra la soglia di povertà ne ha quattro volte tanto, pari a 26 euro.

La persistenza della povertà sanitaria è ancor più preoccupante se consideriamo che l’Italia conserva un sistema sanitario nazionale universalistico. Nonostante la costituzione garantisca la gratuità delle cure, una parte significativa delle spese sanitarie rimane a carico dei cittadini, in particolare quelle farmaceutiche.

In questo contesto, il Mezzogiorno richiede misure rigorose per contrastare la povertà, mentre allo stesso tempo deve essere incentivata la creazione di una rete di assistenza medica da parte degli enti locali e delle Regioni. Questo può avvenire attraverso il potenziamento della presenza dei medici di medicina generale e il rafforzamento dei presidi socio-sanitari sul territorio. Solo così si potranno erogare cure adeguate alle fasce di popolazione che vivono in condizioni di indigenza. Combattere la povertà significa quindi non solo introdurre un reddito minimo universale ma anche mettere in atto politiche per lo sviluppo e l’occupazione, garantendo al tempo stesso l’accesso universale ai servizi sanitari. La strada è lunga e tortuosa, ma è un percorso che l’Italia deve affrontare con determinazione e compassione per costruire un futuro più equo e solidale.

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