La necessità di giustizia nell’ecologia

giustizia nell'ecologia

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La giustizia nell’ecologia è un concetto che riveste una rilevanza crescente nella discussione globale sulla crisi ambientale. Essa riflette la necessità di garantire che la transizione verso un’economia e una società più sostenibili non avvenga a spese delle comunità più vulnerabili e dei lavoratori colpiti dalla decarbonizzazione delle industrie ad alto impatto ambientale. Senza una giustizia effettiva nell’ecologia, la transizione ecologica rischia di creare disuguaglianze e tensioni sociali, minando la sua stessa sostenibilità.


L’Unione Europea, attraverso la Commissione europea, ha istituito uno strumento destinato a svolgere un ruolo cruciale nella promozione della transizione ecologica delle imprese e dei territori: il “Just Transition Fund” o, in italiano, il “Fondo per la Transizione Giusta”. Tale denominazione rappresenta una deviazione dai tradizionali acronimi spesso enigmatici che provengono dalle istituzioni di Bruxelles. Essa si distingue per la sua enfasi sulla giustizia, un concetto che talvolta sembra essere stato relegato ai margini delle decisioni politiche.

La necessità di giustizia assume un’enorme rilevanza nell’affrontare la crisi climatica, che rappresenta indubbiamente una delle sfide più significative del nostro tempo. Papa Francesco, nella sua esortazione apostolica Laudate Deum, ha eloquentemente sottolineato che il cambiamento climatico avrà un impatto sempre più negativo sulla vita di molte persone e famiglie. Questo richiamo alla giustizia è significativo poiché dovremmo sentirne l’urgenza e agire, non solo se facciamo parte di coloro che subiscono già gli effetti devastanti del riscaldamento globale, ma anche se siamo consapevoli delle comunità e dei territori che stanno lottando per adattarsi alle richieste dell’obiettivo “emissioni zero”. La ragione è semplice: la giustizia impone che nessuno debba essere considerato vittima in questa transizione.

Le storie di coloro che rischiano di diventare vittime di questa transizione sono sempre più frequenti. Ad esempio, i lavoratori della Marelli di Crevalcore, nel cuore dell’Emilia-Romagna, che attualmente producono componenti non adatti alle esigenze delle auto elettriche, sperano in un piano di reindustrializzazione che possa garantire un futuro al loro stabilimento. Allo stesso modo, i lavoratori del Porto di Gioia Tauro si trovano in una situazione precaria a causa di questioni tecniche legate alle regole europee, che spesso in Italia vengono riconosciute troppo tardi. La riforma del “Sistema per lo scambio di quote emissione di gas a effetto serra”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale europea lo scorso maggio, ha incluso il settore del trasporto marittimo nel principio del “chi inquina paga”. Questo principio è senz’altro condivisibile, ma potrebbe comportare l’insorgere di effetti collaterali, come la preferenza delle grandi navi provenienti da Asia o Americhe per i porti nordafricani come primo punto di approdo, poiché Bruxelles non ha giurisdizione su tali terminal.

L’Unione Europea non ha nemmeno il potere di costringere la Cina a produrre acciaio in modo sostenibile. Anni di concorrenza sleale da parte della Cina, combattuta con scarso successo attraverso dazi imposti dall’UE e dagli Stati Uniti, hanno reso difficile per le acciaierie europee prosperare in un mercato globale sempre più complesso. La trasformazione ecologica dell’ex Ilva, ora Acciaierie d’Italia, sembra quindi una sfida quasi impossibile.

Durante la sua visita a Taranto, la Commissaria europea Elisa Ferreira ha ribadito l’obiettivo di trasformare l’industria locale in una “industria pulita e sana”. Questo obiettivo è certamente lodevole, ma i lavoratori dell’acciaieria più grande d’Europa e i loro dipendenti hanno imparato a distinguere tra le intenzioni politiche e i risultati concreti.

Spesso l’Unione Europea appare come una potenza globale debole, schiacciata tra i colossi degli Stati Uniti e della Cina. Tuttavia, sentirsi europei oggi significa anche essere orgogliosi di appartenere a una regione del mondo che sta affrontando con serietà e determinazione la sfida delle emissioni di gas serra. Questo impegno ha un prezzo.

Quando si richiede che il costo di questa transizione sia sostenuto dai lavoratori delle regioni come la Calabria o la Puglia, dove il PIL pro capite è significativamente inferiore alla media europea, è fondamentale procedere con cautela e offrire alternative concrete. Una transizione ecologica priva di giustizia non potrà mai preservare il nostro pianeta.

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