La nave-cargo Rubymar: un relitto che sconvolge il Mar Rosso

Se la nave-cargo recentemente affondata non sarà rimossa, essa impatterà negativamente sull'ambiente circostante

La nave-cargo Rubymar: un relitto che sconvolge il Mar Rosso

Lo scorso 18 febbraio, la nave-cargo Rubymar è stata attaccata dagli Houthi. Ora è anche affondata: ha imbarcato acqua a sufficienza per bloccarsi sul fondo del Mar Rosso. Dunque è ormai prossima a diventare un relitto, generando conseguenze gravi per l’ambiente circostante.

La nave-cargo Rubymar trasportava ben 41mila tonnellate di fertilizzanti a base di nitrato di ammonio che potrebbero riversarsi in mare da un momento all’altro causando gravi danni alla biosfera circostante.

Lo stretto di Bab el-Mandeb

Purtroppo lo stretto di Bab el-Mandeb è l’unico punto di accesso dal Mar Arabico per il Mar Rosso e, di conseguenza, per il Canale di Suez, uno snodo fondamentale per il commercio che fa risparmiare carburante e tempo alle navi-cargo di passaggio. Tuttavia, da quando gli Houthi sono diventati più insistenti, molte navi-cargo preferiscono raggiungere il Mar Mediterraneo passando nei pressi del Capo di Buona Speranza e accedendo dall’Oceano Atlantico. Ovviamente, il viaggio è più lungo ed il costo di trasporto dei beni è aumentato. Insomma, si potrebbe dire ironicamente che il Canale di Suez “riduce” l’impatto ambientale del commercio mondiale, ma ovviamente non lo azzera.

Lo stretto di Bab el-Mandeb come teatro di contese

La nave-cargo Rubymar è entrata nel mirino degli Houthi, un gruppo religioso sciita armato stabilitosi nello Yemen dopo la presa della capitale. Gli Houthi hanno affermato che non smetteranno di essere d’intralcio finché non ci sarà un cessate il fuoco e un adeguato approvvigionamento di cibo per coloro che difendono da Israele, USA e, in generale, Occidente. Difatti, con le loro mosse non fanno altro che soffiare su un incendio ormai già vigoroso, e conseguentemente ottengono visibilità su scala internazionale. Gli USA hanno già tentato di contrastarli bombardando alcuni luoghi strategici degli Houthi nello Yemen, ma non è servito per neutralizzare le loro armi tecnologicamente avanzate ed efficaci.

La nave-cargo Rubymar e operazione “Aspides”

Per questo motivo, il 19 febbraio è partita l’operazione “Aspides” dell’Unione Europea. Essa coinvolge tutti gli Stati Membri dell’Unione Europea nelle operazioni di sicurezza e di “scorta” delle navi-cargo di passaggio nel Mar Rosso per favorire l’arrivo delle merci nel Mar Mediterraneo. Finora, Italia, Germania, Francia e Grecia sono attivamente coinvolte nel territorio designato.

La durata della missione è di un anno. La strategia difensiva sta avendo successo: nonostante gli obiettivi da abbattere ora siano le navi di difesa, le marine militari degli Stati membri sul territorio si stanno battendo egregiamente. Proprio il 2 marzo scorso, gli Houthi hanno fatto decollare un drone per affondare il cacciatorpediniere italiano “Caio Duilio”, ma non hanno avuto successo: il drone è stato abbattuto. Tuttavia il problema ambientale non sembra interessare nessuno. Poiché la nave-cargo Rubymar è inglese, sembra che il problema non sia di competenza dell’Unione Europea e che alcuno Stato Membro voglia occuparsene.

L’allarme di Greenpeace

Greenpeace chiede l’intervento di qualunque Stato o istituzione per rimuovere quel che resta della nave-cargo Rubymar. Un aumento dei danni allo scafo potrebbe causare ulteriori perdite di carburante e favorire il contatto tra l’acqua e i fertilizzanti a bordo. Il nitrato di ammonio, se eccessivamente presente in ambiente acquatico, causa una comparsa eccessiva di microalghe che, crescendo, non permettono a molte specie vegetali in acqua di compiere la fotosintesi. Di conseguenza, l’ambiente si popolerebbe esclusivamente di alcune microalghe, causando la morte di tutte le altre specie vegetali e rendendo la vita difficile a molte altre specie animali, se non addirittura uccidendole.

Questo non metterebbe a rischio solo la vita degli ecosistemi marini, ma avrebbe un impatto anche sulla sopravvivenza delle comunità sulle coste della zona. Infatti, il poco cibo che resterebbe disponibile sarebbe contaminato e dannoso per la salute.

Come si può ben vedere, il disastro causerebbe una catena di problemi e il ripristino di un equilibrio nell’ambiente non sarebbe raggiungibile in tempi brevi. Avremo un ennesimo e più inquinante Titanic oppure stavolta baderemo anche all’ambiente?

 

Andrea Ruzzeddu

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