Da cosa è scaturito il bisogno / desiderio di scrivere questo libro? Cosa troviamo di diverso rispetto agli altri testi?
“Scrivere Napoli velata è stata una vera e propria necessità dell’anima e della penna, perché avevo bisogno di tornare al mio primo libro -pubblicato nel lontano 2007- di rimetterci le mani, di rimestarci dentro e tirare fuori qualcosa di diverso da raccontare con uno sguardo più maturo e consapevole. Rispetto agli altri lavori che trattano il medesimo argomento – sia in celluloide sia su carta – il titolo appena pubblicato parte da tutte altre esigenze: oltre a raccontare, infatti, si addentra nelle profondità delle cose partenopee, le rivela e, per quanto possibile, ne spiega il come e il perché, e questo è un tassello fino a oggi del tutto mancante, oppure per lo più frutto di fantasie che definisco “parrocchiali” e senza fondamento. Parliamo,per esempio, proprio della Sirena Parthenope: ancora oggi, molti napoletani la confondono con l’immagine edulcorata di Andersen o con quella della produzione Disney! Ma, stiamo scherzando? Comprendere il vero senso della Sirena è da brividi! E poi, non è da poco che coloro che ancora diffondono tali sciocchezze siano anche gli stessi che parlano di identità e di recupero delle tradizioni…Dopo aver sviscerato il tema più alto e misterioso che ha espresso Napoli, e cioè l’enigma san Gennaro, non avevo altra scelta che ripartire dal libro che mi ha dato il successo facendomi intraprendere una carriera inaspettata. Perciò Napoli velata è il primo e l’ultimo.”
Il libro propone quindi un appassionante viaggio tra le pagine, i vicoli e la storia di Napoli, narrando nuove sfumature di una città dai mille volti e dai numerosi segreti in attesa d’essere svelati. Procede seguendo un filo di collegamento tra gli aspetti più sacri e quelli profani, spesso non gli uni opposti agli altri, ma intimamente intrecciati e complementari. Si interroga, cercando di indagare i “come” e i “perché” che si celano dietro ogni millenaria vicenda, regalandone nuove interessanti chiavi interpretative. Ancora, in Napoli velata ne raschia via i luoghi comuni da tempo sedimentati, che non permettono di vedere questa città sotto la sua vera luce.
Come spiega il mantenimento di una identità così forte, che caratterizza in maniera unica questa città?
È proprio vero, Napoli, soggetta a saccheggio storico e a un’annessione violenta, dovrebbe essere ancora sottomessa e piegata su se stessa, e invece mostra la schiena dritta: si è aggrappata alla propria memoria che altri popoli hanno perduto. Se ci si riflette, la questione identitaria è una costante, poiché già i Romani si recavano a Neapolis trovandovi una corrispondenza ideale e un luogo ameno, una città esotica, a causa della sua cultura intrisa di filosofia greca. Nonostante il latino di Roma, Neapolis fu autorizzata a parlare greco e a legiferare nel proprio idioma, di fatto passato in disuso solamente intorno all’anno Mille. Bisogna tener presente che una lingua non è solamente un modo per esprimersi ma porta con sé la cultura di un popolo, e perciò è tradizione identitaria vivente. Anche il napoletano, imbastardito così come lo conosciamo oggi, conserva molte parole antiche e tracce di una eredità che si perde nei tempi. Pensiamo, poi, al lungo periodo del Grand Tour: perché tra Settecento e Ottocento,durante il loro giro esplorativo dell’Europa, le persone più colte e influenti del Vecchio Continente avevano Napoli come ultima meta? Erano attratte dal mondo perduto? Mentre il resto del pianeta soccombeva all’età della ragione che ha spazzato via tutto, Napoli conservava intatti diversi principi arcani, e con essi la propria identità. E se qualcuno degli illustri visitatori l’additò come terra barbara, molti altri ne furono completamente presi. Poi, non soltanto Napoli non ebbe i roghi dell’Inquisizione ma gli si oppose con tutte le forze e, allo stesso modo, in tempi assai più recenti ha fatto muro contro la Chiesa che impediva ai napoletani il secolare culto dei morti, il quale, checché se ne dica, è tuttora vivo. Che cosa vuol dire ciò se non che un retaggio sopravvive in questa città? Tutto questo ha permeato le pietre che ne operano un rilascio omeopatico, proprio come i sassi fanno con il calore del Sole.
Napoli, lotta, sopravvive e conserva la sua vera natura, che neppure l’avanzare della “modernità” è riuscita a mutare. Perché qui storie e leggende non fanno semplicemente parte del folklore popolare, ma sono intrise nell’arte, nell’architettura, nella geografia stessa della città.
Viene naturale attribuire a Napoli un’identità antropomorfa, quasi tangibile: percorrendone le strade, ammirandone le forme, si ha la sensazione di sfiorare un corpo vivo, un corpo di donna. È quello della sirena Parthenope, figura che da sempre incarna Napoli e sulla quale si impernia il libro.
Secondo la geografia della città, infatti, Parthenope è distesa sul Golfo, con il capo a Est, a Caponapoli; le membra nel centro antico, in largo Corpo di Napoli; i piedi ad Occidente, a Piedigrotta. Il centro di tutto – l’omphalos, l’ombelico – è a Castel dell’Ovo, che deve il nome al leggendario uovo che Virgilio nascose nelle sue viscere.
Altra figura, quella del noto poeta latino, intrinseca della cultura partenopea, che si intreccia, si fonde e si confonde con quella della sirena. In Napoli velata l’autore ci racconta che Virgilio era detto “Parthenias” un nome che lo raffigura come “vergine” quale condizione dell’anima; a partire da questo si palesa il legame con Parthenope, prima “sancta” protettrice della città di Napoli, di cui Virgilio assume il testimone e gli attributi. Secoli più tardi, col Cattolicesimo, il culto di Parthenope e di Virgilio tramuteranno in quello di San Gennaro.
“Scrivendo un percorso di orientamento olistico alla città, non avrei potuto non ricollegare il filo rosso che parte dalla prima protettrice, la Sirena, e arriva a san Gennaro attraverso l’anello di congiunzione Virgilio, che addirittura ne portava il nome. Analizzando attentamente le caratteristiche della triade dei defensor civitatis, non è possibile non accorgersi degli evidenti tratti in comune”
Ed ecco che sacro e profano si compenetrano. Si può dire che San Gennaro rappresenti in una chiave diversa sia Virgilio, quale paladino protettore della città, che Parthenope, nella caratteristica, di richiamo femminile, del sangue che ciclicamente si scioglie.
“La trama è un’indagine sulle origini di cui si cerca di fornire possibili spiegazioni, basate sulle fonti più antiche e sulle chiavi interpretative offerte dai massimi esperti e studiosi di varie discipline che, per intravedere delle risposte, vanno assolutamente comparate o messe insieme.”
A valle di questo studio interdisciplinare e interculturale che caratterizza Napoli velata, nasce quindi spontaneo chiedersi:
Napoli è stata finalmente svelata? Può esserlo davvero? Se no, qual’ è la spinta, lo scopo allora di questa continua ricerca?
Per nulla, c’è ancora tanto su cui indagare, e altrettanto da interpretare. Siamo alla fine di un ciclo cosmico e si rischia di perdere per sempre la connessione con le radici arcaiche da cui si è generato tutto, ed è per questo motivo che svelare alcuni simboli di collegamento non è empio. Anzi, se affrontati con riguardo,hanno addirittura una specifica funzione rifondante, e prova ne sono gli ultimi dieci anni. Il vero rischio, piuttosto, è la banalizzazione operata sistematicamente da alcuni, come i siti a caccia di click, che non sanno quello che riportano, le particolari visite guidate nella Napoli misteriosa: il turismo è una risorsa ma bisogna badare a non farsi cannibalizzare. Per quanto riguarda la mia attività di ricercatore, sono assai rispettoso del segreto e, sebbene sia sempre a caccia di misteri, nella loro esposizione cerco di mantenermi a un livello di guardia poiché non tutto è spiegabile, e non tutto è comprensibile a chiunque. Bisogna soltanto provare a mettere idee e cuore a posto, e a ripartire. Male che dovesse andare, forse le mie ricerche saranno registrate come testimonianze dettate dall’amore di un visionario innamorato di una città rinnegata?
Napoli è spesso banalizzata, offesa, e pare quasi come a proteggersi, celarsi ancor più in se stessa. Ed ecco che, per capirla davvero, bisogna scavare a fondo, sollevare per primi i veli del pregiudizio e degli stereotipi.
Quali sono secondo lei i “veli “che oggi offuscano l’anima di questa città?
I veli napoletani hanno anch’essi una doppia natura come san Gennaro, Virgilio e la Sirena: alcuni sono auto-protettivi, e nascono dal Mistero per celare a occhi profani verità che potrebbero apparire incomprensibili, ed è quello che prevalentemente tratto nel libro Napoli velata; e altri sono il risultato delle patinature stereotipate sublimate dalle canzoni e dai cliché più banali. Ma c’è dell’altro, ed è un terzo livello, di gran lunga più infido poiché tende a oscurare e a fagocitare tutto il resto: è costituito dai luoghi comuni del fango,quelli che mettono in evidenza soltanto l’aspetto più buio, lo amplificano a dismisura e paragonano città e abitanti a una fogna. Questo genere di stereotipo funesto rientra in un preciso capitolo denigratorio che ha radici storiche già nel Settecento. Attualmente, il modello infamante è favorito dalle affermazioni calunniose e dalle narrazioni di pochi spocchiosi intellettuali supportati da certi mass media cui, evidentemente, le potenzialità di Napoli danno fastidio. Limitare Napoli a una immagine che combini spaghetti e pistola fa il gioco dell’orrore più bieco, che è pur sempre un attrattore, e anche se l’operosità partenopea è riuscita in qualche modo a confinarla, essa non fa che tornare indietro come un marchio di infamia, proprio come una maledizione. Si sa che qui arrivano turisti che si fanno accompagnare sui luoghi di Gomorra, e poi si lamentano per non aver assistito nemmeno a una sparatoria? Bisogna individuare bene i veli prima di sottrarli, e cercare di capire perché il prototipo negativo continui ad attecchire. Inoltre, se l’intellighenzia, e la borghesia più in genere,riuscissero a mettere nel cassetto la propria boria, andremmo sicuramente meglio.
Soltanto la cultura salverà questa città dalla damnatio memoriae cui vogliono destinarla.
Arianna Pane