La multinazionale Shell operante nel settore petrolifero e dell’energia ha perso la causa intrapresa da alcuni agricoltori del Delta del Niger. Le accuse di inquinamento da petrolio sono state dimostrate e la Corte dell’Aja ha stabilito un risarcimento alla parte lesa. Si tratta di un traguardo storico: per la prima volta la Corte Internazionale di giustizia si pronuncia contro un colosso petrolifero europeo per iniziativa di privati cittadini africani, i cui diritti sono stati cancellati dallo sfruttamento. Ma è anche una vittoria del diritto ambientale: la Corte ribadisce l’obbligo di vigilanza da parte delle multinazionali operanti all’estero.
Un processo estenuante
Il processo è iniziato tredici anni fa, quando quattro contadini nigeriani si sono rivolti a Milieudefensie: la filiale olandese dell’ong Friends of the Earth. L’accusa mossa contro la multinazionale olandese era di fuoriuscite di greggio nel Delta del Niger, a danno della popolazione locale. Dagli anni Sessanta la Nigeria è diventata il centro nevralgico dell’industria petrolifera globale, ma a danno della popolazione locale. Ogni anno 16.000 bambini muoiono per cause ambientali e l’aspettativa di vita nel Delta è di 10 anni inferiore rispetto al resto della Nigeria. La causa è l’inquinamento, di cui non solo la Shell è responsabile.
Come Shell, anche le altre compagnie petrolifere operanti in Nigeria, tra cui Eni, Total, Chevron ed Exxon, potrebbero essere chiamate alle loro responsabilità per i danni ambientali arrecati al territorio.
La multinazionale Shell “negazionista”
Durante tutto il processo la Shell ha negato le proprie responsabilità, occultando lo sfruttamento selvaggio dell’area. La difesa ha controbattuto con accuse di sabotaggio degli impianti per mano dei locali. Le giustificazioni a discolpa dell’ente imputato sono state smentite, mostrando il disinteresse della multinazionale Shell nei confronti del territorio e della comunità.
Scarsa manutenzione delle tubature e dei pozzi, assenza di vigilanza delle strutture sono stati i fattori responsabili di un grosso danno ambientale.
“È una vittoria agrodolce” -afferma il querelante Eric Dooh – “poiché due di noi, compreso mio padre, non sono vissuti abbastanza per vedere la fine di questo processo. Ma questo verdetto ci dà speranza per il futuro delle persone nel Delta del Niger”. Friends of the Earth non si limita alla vittoria e continua a battersi per l’equità globale, chiedendo alla Commissione europea una nuova legislazione che estenda la legislazione europea ai territori extracomunitari in cui operano le multinazionali dell’Unione. Una responsabilità da investire in nome del rispetto dei diritti umani e del diritto ambientale.
Elena Marullo