La morte di un bracciante di 27 anni nelle campagne Tuturano, frazione di Brindisi, è il risultato del selvaggio capitalismo che rende incivile il nostro paese.
Nella zona di Brindisi, lo scorso 24 giugno, è morto un bracciante per un malore causato dalla fatica del lavoro nei campi. I 40 gradi sopportati per troppo tempo durante la raccolta sono stati fatali per Camara Fantamadi. È morto per pochi euro l’ora mentre rientrava a casa in bicicletta. Aveva 27 anni e veniva dal Mali.
Queste sono le notizie che ci dicono quanto sia incivile il nostro paese,
dominato da un capitalismo sempre più feroce e selvaggio. Quando ci arrivano dai giornali o dai siti di informazione, vengono apprese con distrazione e con un certo fatalismo, come se riguardassero un altro mondo, una realtà parallela sulla quale non abbiamo alcun controllo.
Ma a parte questo, è davvero curioso come dei migranti si difenda il diritto alla mobilità, ma non il diritto ad essere trattati da lavoratori invece che da schiavi. Il pensiero politicamente corretto è sensibilissimo quando si tratta di eliminare i confini e di elogiare il “nomadismo”. Forse in questa ridefinizione dello spazio geografico proietta l’aspettativa di ridefinire il mondo come lo spazio liscio deleuziano.
Ad ogni modo la stessa definizione di “migrante” risente molto di questa ideologia della mobilità che di fatto, come un grande sociologo algerino, Abdelmalek Sayad, aveva osservato, cancella la doppia identità di “emigrante” e di “immigrante”, cioè di qualcuno che lascia la propria terra, possiede un’origine e giunge in una destinazione a lui estranea, verso la quale ripone fiducia e speranze non di rado tradite.
L’esaltazione della mobilità sganciata dai diritti sociali del lavoro è il frutto della pervasiva ideologia neoliberale che propaganda l’idea dell’individuo disintermediato, senza storia, senza identità se non quella che si auto attribuisce. Si tratta dell’ideologia che promuove una nuova antropologia, quella dell’individuo legislatore e imprenditore di sé stesso. Ovvero l’antropologia che piace tanto a chi si riempie la bocca di parole come meritocrazia, creatività, mobilità, startup e altre idiozie da cui traggono profitto le classi sociali benestanti e soddisfatte. Ma che si traduce in un modo tragico per le fasce sociali più deboli che senza la mediazione dei sindacati e della tutela dei diritti sul lavoro schiantano a terra dalla fatica e crepano come bestie.
Paolo Desogus