Come sarebbe vivere senza controllare continuamente l’ora, affidandosi al fluire naturale del tempo?
La misurazione dell’ora nell’antica Roma non consentiva di suddividere in modo preciso la giornata o l’anno. I Romani utilizzavano infatti dei sistemi primordiali e poco esatti per misurare il tempo, rassegnandosi a conoscere l’ora in modo soltanto approssimativo. Oggi è impensabile non conoscere il tempo esatto: siamo abituati a dividere ciascuna ora in frazioni minute e precise. Viviamo attaccati ai nostri orologi. Ma come afferma Luigi Enrico Paoli:
Forse l’orologio ha tolto alla vita una parte della sua poesia; ha sminuzzato, polverizzato l’unità del giorno, che è unità di sole e di luce, e al “carpe diem” ha sostituito l’ansia dell’afferrare l’attimo fuggente.
Il tic-tac dell’orologio è penetrato un po’ nei nostri cuori, ha costretto lo spirito umano a ritmi automatici, che sanno la rigidità dell’acciaio e l’uniformità della macchina.
L.E. Paoli, Vita Romana, 2017, p.86
Per la società di oggi è impossibile pensare di vivere senza una scansione determinata del tempo. Essa ha portato sicuramente dei vantaggi a favore della nostra quotidianità, permettendoci di vivere in modo più organizzato. Tuttavia, forse vivere con dei ritmi serrati, in cui le giornate sono scandite matematicamente, senza la possibilità di lasciarsi andare all’imprevisto, adattandosi e sentendo meglio la possibilità di godere di ogni istante, ci ha reso più meccanici e meno umani. I Romani forse non erano neanche consapevoli di questo, ma si rendevano perfettamente conto della difficoltà di dividere il tempo, se Seneca arrivò ad esclamare: “è più facile metter d’accordo i filosofi che gli orologi!”.
Comunque i Romani avevano degli strumenti, seppur rudimentali ed inesatti, per la misurazione dell’ora.
L’ora che usavano i Romani non era quella equinoziale, la nostra, composta da 60 minuti primi e che divide il giorno astronomico in 24 ore uguali. Per loro il giorno di luce, cioè il tempo in cui il sole resta all’orizzonte, era diviso in dodici ore (horae). L’ora sesta corrispondeva al mezzogiorno.
Per la misurazione dell’ora si affidavano all’osservazione del cielo oppure all’orologio, che era un oggetto molto raro per gli antichi, quanto è comune per noi. Vi erano due tipi di orologio: quello “a sole” (solarium) e quello “ad acqua” (clepsydra). Tuttavia, si trattava di strumenti che permettevano di conoscere l’orario solamente in modo approssimativo. Gli orologi a pendolo e a molla comparvero infatti solamente alla fine del Medio Evo.
Il primo orologio a sole, secondo Varrone, il grande antiquario romano, venne portato a Roma da Catania nel 263 a.C., durante la prima guerra punica. Essendo mutato il luogo, tuttavia, è chiaro che non misurasse più correttamente le ore. Sarà il censore Q. Marcio Filippo, nel 164 a.C., a far costruire una meridiana per misurare l’ora a Roma. Da quel momento le meridiane pubbliche cominciarono a diffondersi e furono i censori ad occuparsi della loro sorveglianza.
Queste meridiane avevano una forma simile a quella che hanno oggi. Erano composte da un indicatore di ferro (gnomon) che proiettava la sua ombra su una tavola circolare marmorea divisa in fasce. Grazie ad un calcolo era così possibile determinare l’ora. Le meridiane divennero il tipo più diffuso di orologio: ne esistevano anche di trasportabili, che potevano essere portate in viaggio, o che misuravano l’ora equinoziale.
Il primo orologio ad acqua (clepsydra) venne introdotto a Roma nel 159 a.C. Vi erano due tipi di clepsydrae: quelle che servivano solo a misurare un determinato periodo di tempo, quello impiegato dall’acqua per passare da un recipiente superiore ad uno inferiore; quelle che si vuotavano in 24 ore, permettendo di stabilire precisamente il numero di ore trascorse, grazie ad una scala segnata nel recipiente inferiore.
Già i Romani comunque si resero conto dei problemi causati da una più precisa misurazione delle ore:
Maledicano gli dei colui che per
primo inventò le ore
e collocò qui la prima meridiana.
Costui ha mandato in frantumi il
mio giorno di povero diavolo.
Quando ero giovane, infatti, l’unico
orologio era lo stomaco
assai più preciso e migliore di
questo aggeggio moderno.(Plauto citato in Aulo Gellio, Notti attiche, III, 3, 5)
In questo frammento si fa riferimento a come si vivesse meglio seguendo come orologio solamente lo stomaco, cioè l’orario naturale. In qualche modo, affidare la misurazione dell’ora ad un oggetto esterno, rendendola quindi meccanica e slegata dai nostri ritmi naturali, ha destabilizzato gli equilibri dell’uomo, facendolo adattare ad un ordine posto dall’esterno e non interiore.
L’ evoluzione del sapere e della tecnica ci ha permesso di misurare l’ora in maniera più precisa, apportando sicuramente dei miglioramenti nella nostra vita di tutti i giorni. Tuttavia, a volte dovremmo ricordare che la divisione del tempo non è che una convenzione. E le convenzioni non sono sempre a perfetta misura d’uomo, ma rispondono a dei criteri di utilità. A pensarci bene, i momenti migliori sono quelli in cui stacchiamo la presa, mettiamo da parte l’orologio e ci affidiamo al fluire armonico del tempo. E sono proprio i momenti in cui ci scordiamo dell’orario, in cui perdiamo la concezione del tempo, quelli più preziosi, che ci fanno sentire più umani.
Se la modernità ci spinge a seguire dei ritmi meccanici, questi giorni di stasi, di vita in casa, ci permettono di riappropriarci del nostro tempo interiore. Mettiamo da parte l’orologio e concediamoci di tornare a sentire il tempo scorrere dentro di noi e non nell’inesorabile ticchettio di un orologio.
Giulia Tommasi