Mesopotamia: la terra in mezzo ai fiumi, il Tigri e l’Eufrate. Regione dell’Iraq, culla di civiltà, luogo in cui è nata l’agricoltura e con lei le prime città. Luogo fertile per eccellenza, vivo e vitale da millenni. Le paludi del sud sono patrimonio UNESCO. Ma oggi sono territori alle prese con guerre, devastazione e cambiamenti climatici. La Mesopotamia si sta prosciugando.
Il Tigri e l’Eufrate nascono in Turchia e scorrono verso sud bagnando la Siria e l’Iraq che dipendono quasi totalmente dai due fiumi per l’approvvigionamento idrico. Poi, si uniscono e procedono insieme fino a sfociare nel Golfo Persico.
Accenni di storia
L’importanza dei due fiumi, nel corso della storia, è legata alla ricchezza delle loro acque. Che fosse sottoforma di fiumi, mari o laghi, quasi tutte le grandi città e le grandi civiltà sono sorte in prossimità dell’acqua. E non è un caso. L’acqua è fonte di vita, è mezzo di trasporto e di comunicazione, è difesa naturale contro i nemici esterni, è fonte di sostentamento, è base sicura da cui partire per esplorare. E quale luogo migliore per fondare la civiltà se non in una terra circondata dai fiumi? La Mesopotamia, appunto. Le vitali esondazioni stagionali hanno reso quelle terre ricche e fertili. Le acque sono pescose. I terreni fecondi. È un’area talmente importante da essere stata dichiarata patrimonio dell’umanità per la sua storia la sua biodiversità.
Quelle terre hanno visto la nascita di Sumeri, Assiri e Babilonesi che, tra le altre cose, sono gli inventori della scrittura, del primo codice di leggi, dei primi imperi. È una terra ricca di storia la Mezzaluna fertile. Crocevia di viandanti da ogni parte del mondo, connette l’Europa, l’Asia e l’Africa. La via della seta passa da lì. Un percorso cruciale calpestato da migliaia di mercanti, pellegrini e avventurieri che ha consentito all’Europa di conoscere l’estremo Oriente. Cronache note e meno note ce ne parlano diffusamente.
Governo iracheno: la Mesopotamia si sta prosciugando
Ma oggi, quel territorio, così storicamente fiero, è un’area del mondo molto fragile. Da tutti i punti di vista. Il Medioriente è uno dei luoghi più tormentati del globo: guerre, interessi geopolitici spietati, cambiamenti climatici e povertà diffusa stanno riducendo i fasti del passato a un arido deserto.
Tra i vari problemi, è di questi giorni l’allarme lanciato dal ministero delle risorse idriche iracheno: il Tigri e l’Eufrate, vitali per l’economia irachena, sono ai minimi della loro portata e, denuncia il ministero, la colpa è delle numerose dighe costruite a monte, in particolare in Turchia, e degli effetti sempre più preoccupanti dei cambiamenti climatici. In questo modo la Mesopotamia si sta prosciugando.
Le dighe in Turchia
Tra il 1970 e oggi, la Turchia ha costruito 22 dighe: 14 sull’Eufrate e 8 sul Tigri, per legittimi motivi di approvvigionamento idrico e, soprattutto, energetico. L’Iraq, però, denuncia che a causa di tutti questi sbarramenti la portata dei due fiumi è diminuita del 40% in 50 anni. La sola diga Attaturk, sull’Eufrate, ha una capienza di 27 miliardi di metri cubi di acqua, che è l’intera portata del Tigri. È ovvio che, sbarrare i fiumi a monte non fa arrivare le giuste quantità di acqua a valle. Ed è questo che denuncia l’Iraq. Ci sono stati degli accordi per un’equa distribuzione delle risorse idriche nell’area ma non vengono rispettati dalla Turchia che, addirittura, ha in progetto una rete di acquedotti che devierebbe l’acqua dalla sua sede naturale (l’Eufrate) verso Israele.
Attualmente sono incorso altre trattative tra il governo turco e quello iracheno, ma il traguardo è ancora lontano.
A sua volta, all’interno dell’Iraq, il corso dei fiumi è sbarrato da più dighe che conservano l’acqua soprattutto nel nord del Paese causando una mancanza d’acqua ancora peggiore nel sud, cioè nelle ormai ex zone paludose che stanno andando in contro a una rapida desertificazione.
Cambiamenti climatici e Iraq
L’Iraq, stando alle Nazioni Unite, è tra i 5 Paesi al mondo più colpiti dai cambiamenti climatici. Quindi, oltre alle dighe, si aggiungono altri problemi:
- La minor quantità di precipitazioni all’anno che provoca uno stato di siccità costante e che ha una ricaduta pressoché immediata sulla portata dei fiumi.
- Le temperature sempre più elevate che accelerano il processo di evaporazione dell’umidità e la conseguente desertificazione.
- La minor portata dei fiumi che fa sì che, alla foce, le acque salate del mare risalgano aumentando il livello di salinità che impoverisce drasticamente i terreni agricoli rendendoli aridi.
- Nelle paludi, ormai secche, si stima una perdita del 95% delle risorse ittiche e in molte aree non è più possibile l’allevamento di bufali d’acqua, un’altra importante fonte di sostentamento per la popolazione della zona.
Inoltre, come ciliegina sulla torta, la Mesopotamia si sta prosciugando anche a causa delle cattive pratiche di irrigazione irachene che causano sprechi idrici non indifferenti e che incidono, ancora una volta, sulla portata dei fiumi.
Piantumare per salvare il Paese dalla desertificazione
È notizia del 12 marzo che il governo iracheno stia mettendo in campo un progetto di piantumazione di 5 milioni di alberi per combattere la desertificazione, soprattutto nelle aree più soggette alle sempre più violente tempeste di sabbia.
Un progetto simile è stato intrapreso già nel 2007 dall’Unione Africana, si tratta di costruire una grande muraglia verde per difendere l’area del Sahel dalla rapida espansione del Sahara. 8.000 km di foresta per arginare la desertificazione.
Gli esperti ci dicono da anni che piantare alberi è essenziale per mitigare gli effetti del cambiamento climatico, ormai non possiamo più tornare indietro ma certamente siamo ancora in tempo per limitare i danni. La stessa agenda 2030 se ne occupa. È l’obiettivo 15: Proteggere, ripristinare e favorire un uso sostenibile dell’ecosistema terrestre. Il quadro tracciato dalle Nazioni Unite riguardo alla perdita di biodiversità è desolante:
Tredici milioni di ettari di foreste vanno perse ogni anno, mentre il persistente deterioramento dei terreni ha portato alla desertificazione di 3,6 miliardi di ettari. La deforestazione e la desertificazione – causate dalle attività dell’uomo e dal cambiamento climatico – pongono sfide considerevoli in termini di sviluppo sostenibile, e hanno condizionato le vite e i mezzi di sostentamento di milioni di persone che lottano contro la povertà.
- Il 52% del terreno agricolo è affetto da deterioramento del suolo e nel mondo 2,6 miliardi di persone dipendono direttamente dall’agricoltura.
- Dal 2008 il deterioramento del suolo ha impattato su 1,5 miliardi di persone a livello globale.
- Ogni anno vengono persi 12 milioni di ettari di terreno potenzialmente coltivabili.
- Il 74% dei poveri nel mondo è direttamente colpito dal deterioramento dei suoli.
Gli obiettivi dell’agenda 2030
Tra i 12 sotto-obiettivi del goal 15 di Agenda 2030, leggiamo:
- Combattere la desertificazione, ripristinare le terre degradate, comprese quelle colpite da desertificazione, siccità e inondazioni, e battersi per ottenere un mondo privo di degrado del suolo.
- Promuovere una distribuzione equa e giusta dei benefici derivanti dall’utilizzo delle risorse genetiche e promuovere un equo accesso a tali risorse, come concordato a livello internazionale.
- Finanziare la gestione sostenibile delle foreste e fornire incentivi adeguati ai paesi in via di sviluppo perché possano migliorare tale gestione e per la conservazione e la riforestazione.
È evidente che cambiamenti climatici e povertà siano correlati. Per quanto riguarda l’Iraq, la perdita di acqua significa desertificazione da un lato e perdita di biodiversità dall’altro e, per una società a prevalenza agricola, le conseguenze sono drammatiche. Tra l’azione sconsiderata dell’uomo e i cambiamenti climatici si innesca un circolo vizioso i cui risultati sono evidenti, soprattutto nel sud del Paese: la Mesopotamia si sta prosciugando.
Centinaia di migliaia di persone hanno già lasciato le loro case spostandosi verso le città o i Paesi vicini. Il livello di desertificazione e di impoverimento dei terreni sta diventando insostenibile. Sono a rischio la biodiversità, la sicurezza alimentare e la crescita economica. La Banca mondiale si sta occupando del caso e afferma che
Il cambiamento climatico sta alimentando le disuguaglianze e il rischio di disordini in una società già erosa da anni di conflitti e violenze.
È necessario intervenire per limitare i danni perché la Mesopotamia, a lungo considerata il giardino dell’Eden, sta rapidamente diventando un luogo inospitale da cui le persone sono costrette a scappare.
Per questo l’iniziativa di riforestazione è virtuosa ed è necessario intraprenderne altre simili ai fini di preservare suolo, biodiversità e distribuzione equa delle risorse. Solo in questo modo la Mezzaluna potrà tornare ad essere fertile e ospitale.