Wim Hof è un avventuriero olandese, la sua incredibile resistenza al freddo (la foto documenta il conseguimento di uno dei suoi record mondiali di resistenza) gli ha guadagnato l’appellativo di uomo ghiaccio. Hof ha certamente della qualità innate fuori dal comune, ma ha raggiunto o comunque affinato questa capacità fisica tramite delle tecniche di respirazione e meditazione, un metodo a cui ha dato il suo nome e di cui si sono occupati grandi media internazionali come BBC, CNN e National Geographic.
Ora scienziati della Wayne State University (Detroit) hanno indagato in maniera scientifica le incredibili capacità di Wim e i risultati sono stati pubblicati su NeuroImage. L’utilità del capire come faccia Wim a resistere tanto al freddo sta nel capire quali sono i meccanismi fisici che evidentemente lui ha imparato ad accendere a volontà a differenza delle persone normali.
Come si è svolto lo studio
A Wim Hof (e ad altri soggetti in buona salute che servivano da termine di paragone) è stata fatta indossare una tuta che copriva il corpo dalle caviglie alla gola e in cui poteva essere immessa acqua a temperatura controllata.
Il professor Otto Muzik della scuola di medicina della Wayne State e il collega Vaibhav Diwadkar per tre giorni hanno “torturato” con esposizione al freddo estremo Hof (e soprattutto temo anche gli incauti poveracci del gruppo di paragone) e hanno monitorato il suo corpo con due tecniche di immagine distinte la PET (tomografia a emissione di positroni) e la fMRI (risonanza magnetica funzionale).
I risultati di quello che avveniva nel corpo di Hof, presumibilmente grazie alla sua tecnica, comparati a quelli del gruppo di controllo hanno lasciato i ricercatori sbalorditi.
Per un freddoloso come il sottoscritto la cosa che più suscita invidia è che Hof non è davvero un uomo di ghiaccio, cioè uno dei motivi per cui resiste tanto al freddo è che la sua pelle riesce a mantenersi più calda rispetto a una persona normale anche se esposta al freddo estremo. La spiegazione fisiologica evidenziata dalla PET starebbe in un maggiore sviluppo dell’innervazione simpatica e nel maggiore consumo di glucosio del muscolo intercostale. In poche parole il suo metodo permette ad Hof di produrre più calore che si diffonde lungo il tessuto polmonare e va a riscaldare il sangue che vi circola. A livello di aree del cervello gli scienziati si aspettavano di osservare la massima attività in quella conosciuta come insula anteriore, dove è localizzato il centro di termoregolazione del cervello, invece hanno trovato che l’area che mostrava maggiore attività comparata con quella dei soggetti di controllo è la sostanza grigia periacqueduttale, l’area del cervello dove è situato il centro del dolore, in quest’area il cervello regola le sensazioni dolorose producendo sostanze oppiacee, gli scienziati suppongono che quindi il cervello di Hof produca una grande quantità di oppiacei in maniera naturale e volontaria per rispondere al dolore del freddo. Riassumendo Hof resiste di più al freddo perché da un lato produce più calore e si raffredda meno e dall’altro spegne il dolore.
Questo secondo meccanismo è il più interessante da indagare per la scienza medica, se queste tecniche si potessero standardizzare ed insegnare ad altri potrebbero essere utilizzate per trattare altro, i ricercatori pensano a deficienze del sistema immunitario e a malanni psichiatrici relativi a disturbi dell’umore, come la depressione.