“La manutenzione dei ricordi” è l’ultima fatica del professor Pier Luigi Celli. L’imprenditore un tempo direttore generale della Rai ci porta all’interno delle storie di sei amici e dei loro rimorsi. Il romanzo, pubblicato l’11 marzo 2021 è edito da Chiarelettere.
Gino Paoli nel 1991 ci racconta di “4 amici al bar, che volevano cambiare il mondo”. Nel corso della canzone, e della vita, gli amici si diradano, si perdono di vista, si imborghesiscono. Ma cosa succede dopo tutto ciò? Veramente tutto finisce così semplicemente, senza nemmeno un rimorso? E la rivoluzione? E i sentimenti, la fratellanza?
Dopo trent’anni Pier Luigi Celli ci svela come finisce la storia. Prova a raccontarci gli anni ’70, ma senza mitizzazioni o false speranze. Lo fa guardando a quegli anni da una prospettiva contemporanea, come se gli amici di Gino Paoli fossero finalmente tornati al bar, intenti a fare i conti con 50 anni di vuoto nei propri rapporti.
Giorni che si consumavano sempre uguali nell’attesa, mentre tutto intorno sembra prendere fuoco.
Questa è la descrizione che Celli dà di quell’epoca rivoluzionaria vissuta tra le borgate di Roma. La storia infatti ricalca i passi di sei amici, cresciuti all’Africano, con il sogno di fare la rivoluzione. Come ci suggerisce il sottotitolo del libro la rivoluzione poi non l’hanno fatta, e adesso bisogna pagare lo scotto.
I protagonisti de La manutenzione dei ricordi sono un gruppo di anziani, sessantottini delusi dal corso della storia, che si ritrovano a 50 anni proprio da quel ’68 tanto decantato, nonché teatro del viaggio in Francia fatto alla ricerca della rivoluzione, che segnerà un punto di svolta nelle vite dei nostri, ma che contribuirà anche a dividerli.
Pietro, il più sensibile del gruppo, riunisce la vecchia compagine all’interno di un antico convento che ha provveduto personalmente a ristrutturare. Già nella magistrale caratterizzazione dei singoli personaggi possiamo notare tutte le contraddizioni di quell’epoca sognante. Il tempo ha costretto Francesco, il più bello della compagnia, e quello unanimemente riconosciuto come destinato ad una vita rigogliosa, sulla sedia a rotelle, in condizioni fisiche pessime.
Al contrario Luigi, da rivoluzionario di sinistra, si ritrova ora a dirigere una grande azienda, ed è diventato “un padrone”. E’ proprio intorno a questi due personaggi che la storia sembra imperniarsi. Se infatti il primo risulta essere un elemento di disordine tra i vecchi compagni, che non si aspettavano di trovarlo in queste condizioni, il secondo non è nemmeno presente alla riunione. Le condizioni di Francesco, e l’assenza di Luigi, saranno il vero motore dell’azione nel romanzo, e porteranno a galla rancori e incomprensioni custodite gelosamente per tutti gli anni passati distanti.
Ogni membro dell’antica compagnia negli anni ha preso la sua strada, mai uguale ad un’altra, ma c’è qualcosa che unisce tutti gli anziani signori che animano l’azione di questo romanzo: nessuno di loro ha fatto la rivoluzione.
La vera rivoluzione, mia cara, l’abbiamo inseguita, l’abbiamo persa, e forse anche maledetta per come ci ha fatto sentire inadeguati per tutta la vita […].
La verità è che La manutenzione dei ricordi se ne frega dell’andamento della trama, o delle vicende dei singoli personaggi. Il romanzo non pretende nemmeno di catturare l’attenzione del lettore attraverso i rimorsi di sei anziani che fanno i conti con se stessi, il romanzo vuole raccontare le sensazioni e i risentimenti dei personaggi. Ogni parola pronunciata dai compagni, ogni espressione usata, è carica di emozione. Dall’iniziale imbarazzo per il tempo trascorso fino alla nostalgia.
Pier Luigi Celli vuole raccontarci come ci si sente a non aver ottenuto nulla, forse cercando di riscattare quegli anni. Ci mette davanti tutte le scelte sbagliate di vite vissute non proprio come i protagonisti di un romanzo. Nel fare tutto ciò La manutenzione dei ricordi si classifica come un vero e proprio romanzo proletario. Storie semplici, quotidiane, difficili, che su carta assumono una dignità che difficilmente avrebbero avuto altrimenti.
Tutti gli anni di sofferenze e fatica ci vengono sbattuti in faccia, quasi a ricordarci che gli eroi dei romanzi sono tali proprio perché rilegati all’interno di una copertina, che nel migliore dei casi può essere di cuoio. In questo romanzo non c’è spazio per gli eroi, tantomeno per il cuoio. Questo è un romanzo che comunica umiltà, e lo fa attraverso l’arma più tagliente a disposizione di uno scrittore: il silenzio.
Al centro della storia c’è proprio il tacciuto, lo sconosciuto, gli anni di vita dei protagonisti che non emergono nelle pagine del romanzo. Tali lacune riempiono la lettura e ti donano un continuo stato di incertezza, probabilmente la stessa incertezza che Pietro e i suoi amici dovevano provare nel corso degli anni ’70. Non conoscendo le varie storie dietro ai personaggi che animano il racconto si è costretti a sospendere il giudizio, anche grazie al dolore legato ai ricordi non narrati che l’autore è bravissimo a far emergere.
Alla fine della lettura resta la sensazione di aver condiviso un viaggio con vecchi amici che non vedevamo da 50 anni. Non possiamo sapere nulla a parte ciò che vediamo. Sappiamo solo i sentimenti che proviamo per loro e le emozioni che sanno suscitarci dopo tanto tempo, serve altro?
Marzioni Thomas