La lotta allo spreco diventa legge

A sei mesi dall’approvazione in Francia, l’Italia mette a punto la nuova legge anti spreco. Meno rigida rispetto all’omologa francese, la normativa si incentra su bonus, sgravi e agevolazioni.

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“Mangia tutto! I poveri muoiono di fame!”. La saggia nonna non dovrebbe mai smettere di ripeterci questa frase. Noi, che ci piaccia o meno, siamo in classifica come popolo di spreconi, soprattutto quando si parla di cibo. A tal punto da seguire l’esempio dei nostri vicini francesi e dotarci di una legge mirante a ridurre questo diffuso malcostume. La legge, passata lo scorso marzo al voto della Camera, è stata approvata dal Senato qualche settimana fa.

Quali novità saranno introdotte dalla normativa? Se oltralpe si punta all’obbligo della donazione di cibo da parte della grande distribuzione, con tanto di pesanti sanzioni e pene detentive, da noi si favorisce un approccio incentivante. Tutta una serie di agevolazioni che puntano a favorire il riciclo e la reimmissione in circolo di cibo ancora commestibile, ma destinato al macero. I supermercati non saranno comunque obbligati, ma avranno la facoltà di scegliere la destinazione dei prodotti alimentari. La prima delle novità riguarda i bonus finanziari riservati alle imprese operanti nel settore della ristorazione e della grande distribuzione. Bar, ristoranti e supermercati che doneranno il cibo potranno usufruire di una riduzione della tassa sui rifiuti, proporzionata alla quantità di cibo donato. Non è tutto. Via libera anche alla semplificazione delle pratiche di donazione che prima, con l’obbligo di comunicare preventivamente cosa donare e a chi, invitavano spesso il donatore a desistere. Con la nuova legge chi opera la scelta solidale può comunicare a fine mese, in maniera riepilogativa, il destinatario della donazione e i quantitativi donati. Più potere viene inoltre conferito al tavolo indigenti del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, che si potrà dedicare all’opera di raccolta del cibo in scadenza da indirizzare a enti caritatevoli. Spazio, infine, a progetti da finanziare nel campo del riciclo e della politica antispreco. Anche i farmaci potranno essere inclusi nelle donazioni, ad eccezione di sostanze stupefacenti o di farmaci esclusivamente dispensabili in ospedale.

Queste sono di quelle normative che trovano pochi detrattori sul loro cammino e che stuzzicano comunque qualche interrogativo. Dopo tanti anni di crisi che ci morde sui fianchi, dovevamo arrivare alla necessità di una legge apposita, per contenere una pratica del tutto sbagliata? Questa è forse la più grande delle contraddizioni: la Fao ci dice che si butta più di un terzo del cibo prodotto. Più di 1,3 miliardi di tonnellate di alimenti che possono essere ancora consumati. Quanta gente mangerebbe questa quantità di cibo? Due miliardi di persone si alimenterebbero per un intero anno. Del cibo buttato, “solo” 222 milioni è buttato via dai Paesi industrializzati. Questo per capire la portata di un simile sfacelo. L’altra spina nel fianco che comporta lo spreco è l’impatto ambientale, in termini di acqua impiegata per la produzione e rifiuti prodotti.

Occorre un cambio di prospettiva, che immetta nuovi fattori culturali nelle pratiche quotidiane. Si getta il cibo perché non si conserva in modo adeguato, perché quel “preferibilmente” accanto la data di scadenza viene preso come termine perentorio – quando non lo è affatto – o perché siamo dei consumatori compulsivi, terribilmente vocati alla dittatura delle offerte e all’eccesso. E sullo spreco alimentare, come si legge dalle pagine del Corriere.it, c’è una vera e propria livella. Il «Global Food Losses and Food Waste» riporta cifre di Paesi industrializzati e in via di sviluppo che quasi si equiparano.

E’ tra le nostre mura domestiche, che la vera rivoluzione alimentare dovrebbe avere origine. La nuova normativa italiana, forse un po’ troppo incentrata sulle imprese di settore, tralascia infatti che dei 9 milioni di tonnellate di cibo buttato ogni anno (mezzo punto percentuale di Pil), una cospicua parte proviene dai rifiuti domestici. Ogni famiglia italiana butta circa 400 euro di cibo all’anno, quasi 50 Kg di cibo e un buon 8% dei costi domestici. Cifre pesanti, difficili da mandar giù.

Alessandra Maria

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