La lingua italiana: dagli anni 60 fino ad oggi

La lingua italiana e la sua evoluzione

Lezione di italiano

La lingua italiana ha subito una trasformazione che va avanti tutt’oggi. Infatti, la lingua è un organismo in continua evoluzione.

Le origini della lingua italiana

La lingua italiana ha origine dalla lingua indoeuropea, parlata dai popoli che occupavano i  territori situati tra l’India e l’Europa. Dall’antica radice indoeuropea nasce il latino. Avrà in questo senso un ruolo fondamentale l’Impero Romano. La sua inarrestabile espansione politica, infatti, favorì la diffusione del latino. Gradualmente il latino divenne nei territori conquistati la lingua formale scritta e delle occasioni pubbliche. Dall’evoluzione del latino parlato nell’Impero Romano, unito ai linguaggi dei vari popoli invasori nascono i volgari italiani.

Ma l’atto di nascita dell’italiano risale al 960. È il cosiddetto Placito Capuano, un verbale notarile di un processo, e quindi un documento ufficiale.

Siamo nel 300 quando si dà inizio all’unificazione linguistica sulla base di un volgare in particolare: quello toscano. È con Dante, Petrarca e Boccaccio infatti, che il toscano diventa la lingua letteraria per eccellenza. Fino a tutto il 400 il fiorentino si candida per un ruolo di predominanza ma non è ancora stata decisa una lingua ufficiale. Nel Cinquecento il fiorentino trecentesco è diventato modello, lingua di prestigio. Viene usato da scrittori come Ariosto, Sannazzaro. Nasce la questione della lingua. Tante sono le proposte di lingua da adottare. Ad accentuare questa difficoltà è anche la nascita dell’Accademia della Crusca, che avrà un ruolo fondamentale dal 1612 fino ad oggi.

Quando nasce l’italiano?

La lingua italiana si è sviluppata grazie all’egemonia della letteratura e all’opera dei grammatici ma su di essa premeva la vitalità del parlato, che si traduce nella varietà della lingua. Possiamo parlare di italiano a tutto tondo a partire dalla fine degli anni 80, quando, grazie ad una serie di fattori, possiamo affermare che la stragrande maggioranza di parlanti usava un’unica lingua.

Un documento fondamentale per la comprensione dell’evoluzione della lingua negli anni 60 è “Lettera a una professoressa, risalente al 1967, a opera di Don Milani. Questa lettera è una prova documentaria molto importante del fatto che, soprattutto nelle zone rurali, la lingua materna era il dialetto. La scuola elementare e le medie non tenevano conto che moltissimi bambini erano dialettofoni. Fino al 1977 le medie non hanno previsto per programma ministeriale che oltre alla lingua letteraria si insegnassero altre forme di lingue. Si insegnava la letteratura a studenti che non conoscevano la lingua stessa. I ragazzi venivano continuamente bocciati o abbandonavano gli studi perché il modo in cui si insegnava la lingua faceva sì che chi proveniva da ambienti più umili avesse molte difficoltà.

Nel 1861 in Italia l’80% della popolazione era analfabeta, l’italiano esisteva solo scritto e un analfabeta non lo leggeva, non esisteva un italiano orale standard.  Nel 2005, De Mauro, basandosi sui dati di censimento ISTAT del 2001 dimostrò che c’erano ancora 6 milioni di analfabeti.

I media: radio e televisione

Alla formazione dell’italiano concorrono in gran parte anche i media che nacquero nel corso del 1900, oltre a quelli già esistenti come i giornali e il cinema. Nel 1924 la radio, dal gennaio 1954 la televisione. Infatti, con l’avvento dei mezzi di comunicazione di massa, soprattutto orali, come la radio, il cinema sonoro e la televisione anche gli analfabeti entrano in contatto con l’italiano. Inoltre, il fatto che le emittenti radiofoniche fossero statali presupponeva la ricerca di caratteristiche standard perché la lingua italiana fosse comprensibile a tutti.

De Mauro ne mette in evidenza le conseguenze:

“Anche nelle zone geografiche e nelle classi sociali a più basso reddito, che sono anche le zone di più tenace persistenza del dialetto: da ciò l’importanza della radiotelevisione ai fini della diffusione della lingua…”

In particolare, l’accesso diretto alla televisione è stato accentuato da quando le reti si sono moltiplicate e privatizzate.

A partire dal 1960 verrà trasmesso anche l’emblematico programma dedicato all’alfabetizzazione “Non è mai troppo tardi”, a opera di Alberto Manzi.

A questo punto si è caratterizzato l’italiano standard, la lingua utilizzata uniformemente nello scritto.

L’italiano dell’uso medio o neo-standard

È una varietà dell’italiano che emerge alla fine del processo di italianizzazione, quando si parla di un italiano per tutti gli italiani, alla fine del 1980. In particolare, sono tre i linguisti che lo mettono sotto osservazione: Mioni, Sabatini e Berruto. L’italiano neo-standard è caratterizzato da tratti grammaticali o lessicali che sono molto frequenti nella lingua italiana degli anni Ottanta ed hanno altissima frequenza d’uso.

Rispetto all’italiano standard, cioè l’italiano ufficiale, rappresenta quindi una realtà diffusa, che interessa tutta l’area nazionale, di cui tutti abbiamo comune esperienza. Si tratta quindi dell’italiano comunemente parlato.

L’italiano digitato

Con la nascita dei “social network”, il numero di utenti che hanno accesso a questo mezzo di comunicazione aumenta repentinamente, con la conseguente trasformazione della lingua scritta. Tante sono le varietà di registri linguistici che si sviluppano in questi anni. Nasce l’uso gergale, l’italiano aziendale e l’italiano tecnico e scientifico, usati in specifici ambiti sociali e lavorativi. Nel 2011, secondo il bilancio eseguito da Antonelli, prende piede un’altra varietà linguistica, l’italiano digitato. È il cosiddetto italiano elettronico, quello delle chat.

Nel 2016 questo schema dell’architettura della lingua italiana viene aggiornato e compare l’e-italiano.  È l’italiano elettronico, che ha cambiato l’interazione con il web. Ha infatti richiesto l’interazione con l’utente: è l’utente stesso che fa i contenuti. Tutti ora possono scrivere sulla rete in maniera estemporanea. La lingua si caratterizza in modo diverso, è più tendente allo scritto.

I dialetti: parte integrante della lingua italiana

I dialetti, come abbiamo visto, costituivano la lingua di tutti giorni fino a poco tempo fa. In Italia esisteva infatti una situazione di diglossia: da una parte il dialetto, dall’altra l’italiano standard. Ciascun parlante italiano poteva decidere di stare su o tra questi due estremi.

L’uso dei dialetti in Italia rappresenta un caso a sé rispetto al resto dell’Europa. In molte parti d’Italia, le generazioni più anziane utilizzano ampiamente i dialetti nella lingua di tutti i giorni, spesso perché è l’unica lingua che conoscono. Tra i più giovani l’italiano standard ha la precedenza; tuttavia, molti giovani si esprimono perfettamente nel proprio dialetto.

Fortunatamente ci siamo allontanati dall’idea della purificazione della lingua, intesa come l’eliminazione dei dialetti, anzi, negli ultimi anni i dialetti sono riconosciuti come parte fondamentale del patrimonio culturale italiano e come specchio dell’identità nazionale. Il governo italiano riconosce infatti il sardo, il friulano e il ladino come lingue ufficiali. Mentre l’UNESCO aggiunge il napoletano e il siciliano.

Ancora oggi però l’italiano non è una lingua madre: chi appartiene alle classi sociali medio basse impara a casa il dialetto, mentre a scuola acquisisce l’italiano

Fiamma Franchi

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