La legge è uguale per tutti, ma noi non siamo tutti uguali

La legge è uguale per tutti, ma noi non siamo tutti uguali

Esiste una frase famosa in tutto il mondo, una scritta solenne posta alle spalle di ogni giudice all’interno delle aule di Giustizia: “la legge è uguale per tutti”.

Essa rappresenta un valore universale, un principio fondamentale posto in essere dalla nostra Costituzione che all’articolo 3 sancisce:

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

La legge, dunque, garantisce l’uguaglianza formale e sostanziale a tutti i cittadini, eppure questo principio spesso non viene rispettato.

La Costituzione italiana distingue l’uguaglianza formale,  la quale riconosce a tutti i cittadini l’eguaglianza davanti alla legge, da quella sostanziale che pone lo Stato come protagonista attivo dal punto di vista economico, politico e sociale per eliminare qualsiasi tipo di discriminazione.

Ma la legge è uguale per tutti?

Ovviamente chi ha studiato giurisprudenza e si ritrova a frequentare con quotidianità le aule dei Tribunali sa perfettamente quanto sia più facile a dirsi che a farsi.

Nonostante questa frase sia breve e concisa non si può dire lo stesso del significato che racchiude al suo interno.

La legge va applicata a tutti indistintamente ed allo stesso modo, ma per ottenere ciò il legislatore deve svolgere al meglio il suo lavoro.

Nonostante il principio di uguaglianza sostanziale operi soprattutto a favore dei “soggetti più deboli”, ossia nei confronti di coloro che vedono ostacolarsi il proprio esercizio di difesa per cause economiche e sociali, molto spesso ci si ritrova a sottostare alle volontà di una legge che non li tutela:

La legge è uguale per tutti è una bella frase che rincuora il povero, quando la vede scritta sopra le teste dei giudici, sulla parete di fondo delle aule giudiziarie; ma quando si accorge che, per invocar l’uguaglianza della legge a sua difesa, è indispensabile l’aiuto di quella ricchezza che egli non ha, allora quella frase gli sembra una beffa alla sua miseria.

Così diceva Piero Calamandrei, giurista e accademico; parlando di giustizia egli ha spesso affermato come il caso singolo, contrapposto alla legge generale e astratta, possa lasciare gli imputati chiusi nella più grande bolla di incertezza.

Gli stessi che si affidano all’arbitrio di coloro che sono chiamati a decidere, sovente non riescono a far valere i propri diritti e questo li porterà a non avere alcuna giustizia o nei casi peggiori ad essere condannati ingiustamente.

In Italia, come nel resto mondo, sono numerosi i casi di “errori giudiziari” che hanno condannato persone innocenti.

Secondo l’articolo 27 comma 2 della Costituzione, l’imputato non è considerato colpevole fino alla condanna definitiva, dunque vige il principio di presunzione di non colpevolezza.

Malgrado ciò, i giudici possono disporre delle “misure cautelari” nei confronti dell’imputato per gravi indizi di colpevolezza o pericolo di fuga e reiterazione del reato.

Questo porta ad una restrizione della libertà dell’individuo che dovrà attendere il giudizio dietro le sbarre.

Per quanto questa decisione sia giuridicamente corretta, si può trasformare in una sorta di trappola per chi, invece, il reato non lo ha commesso affatto.

Nonostante la maggioranza di coloro che finiscono in carcere vengano poi condannati definitivamente, c’è comunque una minoranza che viene assolta.



Si parla addirittura di oltre mille persone vittime di “ingiusta detenzione”.

Senza tener conto di quelle che sono state condannate con sentenza definitiva per poi essere scagionate a venti o trent’anni di distanza.

In alcuni casi viene da chiedersi se esiste davvero il diritto di opporsi ad un sistema che sembra quasi aver già deciso per te, ma non si può prescindere da un giudizio e non si può fare a meno della legge.

Coloro che hanno prestato giuramento solenne si ritrovano con l’enorme responsabilità di tutelare il proprio assistito secondo le forme ed i principi del nostro ordinamento giuridico.

Così come i Giudici hanno il dovere di osservare la Costituzione nell’interesse della Nazione.

In tutto questo occorre ricordare un fattore che condiziona spesso le decisioni prese all’interno dei Tribunali: l’elemento umano.

Il Pubblico Ministero, l’avvocato, il giudice chiamati a decidere sulla sorte degli imputati non sono esseri dotati di poteri divini e non sono immuni dal commettere errori.

La legge è uguale per tutti solo se si crede fortemente nella Giustizia che, seppur imperfetta, si fonda su principi solidi e valori Costituzionali.

Come spiegò Calamandrei in un discorso rivolto agli studenti di Milano nel 1955:

La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove; perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile, l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità.

Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica.

Voi giovani dovete dare il vostro spirito, la vostra gioventù, farla vivere, sentirla come cosa vostra, metterci dentro il senso civico, la coscienza civica, rendersi conto che ognuno di noi non è solo, che siamo parte di un tutto, un tutto nei limiti dell’Italia e nel mondo.

La legge da sola non basta, occorre più umanità per tenere accesa la speranza di una Giustizia uguale per tutti.

 

Silvia Morreale

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