“Jusqu’ici tout va bien”, “Fino a qui tutto bene”. La frase clou del monologo iniziale di La Haine, epocale film di Kassovitz, riassume in cinque parole l’intera pellicola. Un messaggio che indica il non-progresso della civiltà occidentale e il rassegnamento di vivere in una società instabile e divisa. Una società che subisce e poi reagisce a ripetuti abusi di potere in un ciclo senza fine. Un messaggio sempre più rilevante che viene puntualmente ignorato da 25 anni, anche di fronte a continui eventi dejà vu (guardiamo adesso verso gli Stati Uniti che bruciano).
Un’ opera cinematografica rivoluzionaria e senza tempo
Il film irruppe come il lancio di una molotov (eufemismo usato dalla critica di allora) sul panorama del cinema francese diventando rapidamente un fenomeno globale. Frasi del film citate ancora oggi, richiami visivi immediatamente riconosciuti e una trama viscerale che colpisce come un pugno nello sterno.
L’opera incentrata sull’amicizia di tre giovani senza prospettive delle banlieue di Parigi dava sfogo al malessere societario della Francia degli anni ’90. Una nazione periodicamente sconvolta da feroci rivolte quasi sempre scaturite da un abuso di potere da parte della polizia (simbolo concreto della repressione governativa) contro un membro della minoranza Franco-Africana o Franco-Araba.
La scelta di rilasciare il film in bianco e nero non era affatto casuale. Una decisione artistica che richiamava immediatamente la disparità razziale francese. L’assenza di colore poi accresce non solo la desolazione dei comunque grigi palazzoni delle banlieue, ma soprattutto la sensazione di freddezza e alienazione percepita dai tre protagonisti che vivono in quartieri trascurati, distanti anni luce dalla Parigi da cartolina degli arrondissements del centro. Il trio composto da Hubert (un Franco-Africano), Said (un Nordafricano) e Vinz (un Est-Europeo) simboleggia quella fascia di popolazione francese considerata da molti non-autoctona anche se lì da generazioni.
La trama si svolge durante il corso di una giornata successiva all’ennesima rivolta in risposta a un pestaggio durante un arresto di un beur (slang per nordafricano di seconda generazione) amico del trio. Le varie vicissitudini del film portano i tre a sfide continue con la polizia, difficili interazioni con la borghesia parigina e varie avventure all’addiaccio che richiamano alla fine più un senso di deriva e nullafacenza piuttosto che di totale disperazione. Questo almeno fino all’improvviso e violento finale.
L’epoca storica, il razzismo e le conseguenze del non-progresso
Nonostante sia girato in bianco e nero, il film non è ovviamente così monocromatico. Le questioni razziali passano un attimo in secondo piano se si considera che il più esagitato del terzetto è Vinz, che è bianco (anche se ebreo ed Est-Europeo e quindi forestiero). Il punto è che statisticamente è più difficile trovare lavoro, casa o proseguire ad un’istruzione terziaria se si è neri, berberi o arabi ancora oggi in Francia. Quante cose sono cambiate realmente dal debutto di La Haine ? Le scene di rivolta come quelle intensissime del 2005 fino a quelle più recenti del 2009, 2013 e 2017 sono praticamente identiche a quelle mostrate all’inizio del film (che apre con un montaggio degli incandescenti disordini del 1986 e 1993).
Il periodo in cui veniva filmato La Haine richiama un periodo buio che vide un’impennata terroristica sul suolo francese (riconducibile all’Algeria martoriata dalla guerra civile). Tornando ad anni più recenti, la minaccia dei racaille di periferia, mal integrati anche se di seconda o terza generazione, ha fatto spazio ad un male molto più drammatico e sanguinario.
La stagione di terrorismo Islamico che visse la Francia durante il corso dell’ultimo decennio (2010-2019) fu la peggiore nella storia d’Europa post-guerra fredda. Il sintomo di radicalizzazione di cittadini francesi in tutto tranne che per il sangue, la religione e il colore della pelle fu una conseguenza diretta del forzato isolamento sociale, culturale ed economico delle banlieue.
I paragoni storici e odierni con altre realtà
Se volessimo confrontare la situazione odierna negli USA e la segregazione della sua società con un paese europeo, l’unico con cui potremmo farlo (fino a un certo punto) è proprio la Francia. Quale altro paese presenta una emarginazione razziale e sociale così marcata? Certo, anche il Regno Unito è da decenni una società cosmopolita e visse i suoi periodi di tumulti anche in tempi recenti. Le rivolte del 2011 aprirono il sipario sulle vastissime divisioni classiste presenti in Inghilterra e sono da annoverare tra le più gravi sommosse nella storia moderna d’Europa.
La Francia comunque rimane il modello di paese multirazziale Europeo continentale per eccellenza, ma la sua inabilità di affrancare completamente la sua popolazione minoritaria ha causato un crescendo di tensioni sociali che tristemente non ha eguali in Europa. Che sia in Francia o negli Stati Uniti, la questione di base sta nella divisione sociale, culturale, razziale ed economica di una fascia pesantemente emarginata contrapposta a un’autorità che reagisce spesso con violenza.
Una società contenta di mantenere la situazione statica con il pugno duro, ma che in tal modo rischia sempre di più di esacerbare la situazione fino a un punto di non ritorno.
Al di là di ogni generalizzazione culturale e storica, il messaggio estrapolato da La Haine e la situazione odierna di aperta rivolta a cui stiamo assistendo in America dopo la morte di George Floyd sono alla base assai simili. Certo non si può comparare la secolare e metodica schiavitù dell’intera popolazione afroamericana, la durissima lotta per i diritti civili e le pratiche di subdola segregazione che, a discapito di cosa possa dire un aderente alt-right, succedono ancora adesso. Basta pensare a pratiche di red-lining edilizio, mancanza di accessi a servizi basilari, incongruenze abissali a livello giuridico e moltissime altre forme di discriminazione ancora in atto negli Stati Uniti.
È peculiare però che sia un film francese (e quindi Europeo) di 25 anni fa a descrivere ancora adesso meglio di molti altri la sensazione di malessere societario e non-appartenenza nel proprio paese.
Come detto, i problemi della Francia si possono comparare con quelli degli USA fino a un certo punto. Non si può comparare la schiavitù e conseguente discriminazione intrinseca e legale con il trattamento degli immigrati dalle colonie francesi nel dopoguerra. Come non si può comparare (dal punto di vista americano) il fallout della guerra d’indipendenza algerina e le ferite aperte causate dal colonialismo mai completamente rimarginate. Il concetto chiave rimane che una società contenta solo di esistere ma non di cambiare e progredire rischia il tracollo ogni minuto che passa senza agire.
Omar Conzato