La guerra è il gioco preferito dei burattinai: a morire sono sempre le marionette

Guerra

Le guerre sono da sempre parte della storia dell’uomo, quasi fossero parte integrante della sua stessa natura. Desideri intrinsechi, come maledizioni antiche, muovono l’essere umano a compiere scelte dannose, non solo per sé, ma per tutti. Le guerre vengono partorite così, dal desiderio di arricchirsi, dalla smania di potere, dall’odio rigettato su chi si costruisce nemico, estraneo, cattivo.

Non è certo una sorpresa: a muovere i fili delle guerre non sono le marionette attaccate ad essi. Alle spalle della scena, creando voci, storie e catastrofi, ci sono gli abili burattinai. La guerra non è mai stato il gioco della gente comune: nonostante ne paghi le grandi conseguenze, a toccarne gli innesti – ieri come oggi – sono le mani dei potenti.

Attraverso la distruzione si modificano gli equilibri. L’obiettivo è quello di ottenere cambiamenti, nuovi accordi, strette di mano da fotografare. Presentata come una scelta inevitabile, la guerra assume i connotati di valori che non ha mai avuto: fierezza, orgoglio, patriottismo, difesa, coraggio. Mascherata a festa, si veste coi colori gloriosi di paesi in realtà distrutti, impregnandosi del sangue di chi li aveva abitati.

Processi passati e processi presenti. È accaduto in passato, con la promessa che non si sarebbero più percorsi passi valutati – col senno di poi – sbagliati. È accaduto oggi, nel presente, con dinamiche vecchie, condannate a convenienza dei grandi.

Insomma, a rimetterci è chi alla guerra non ha mai scelto di giocarci. A morire sotto le bombe non sono i grandi presidenti, i dittatori, i politici in cravatta. A dover fuggire affrontando esplosioni e pericoli sono i civili, i bambini, coloro i quali del gioco della guerra non conoscevano neanche le regole. La gente che non gode di aerei privati, bunker sotterranei, cibo garantito, di cui non ci si ricorda i nomi, di cui non si conoscono le storie e i volti.

Gli stessi che diventano fantasmi senza nome, trasformati in numeri da dichiarare, cifre da conteggiare, piante da pochi e celebrate con ipocrisia attraverso parate a scontro finito.

Quando l’Italia era in guerra

Le vittime delle guerre sono difficilmente stimabili. I numeri variano e non garantiscono la realtà dei fatti. Basti pensare a chi è rimasto etichettato come un disperso per sempre.

Figure centrali, nei contesti di guerra, sono i soldati. Nella maggior parte dei casi ragazzi costretti al fronte, allontanati da casa, schiacciati in trincea, educati al coraggio d’essere combattenti e umiliati al sentore della paura.

Durante la Prima Guerra Mondiale i caduti militari furono circa 651.000.

Tra i civili, invece, sono stati contati circa 589.000 morti. Civili costretti ad ascoltare il suono dell’allarme che precedeva quello delle bombe. I civili costretti a fuggire nel cuore della notte, alla ricerca di un riparo. I civili in attesa dei ritorni. Gli stessi che, se non fossero riusciti a farcela, era possibile vedere scomposti per strada o sotto le macerie, radunati poi in fila, come marionette rotte e irreparabili.

In totale, soltanto per merito della Grande Guerra, in Italia vi furono 1.240.000 morti.

Durante la Seconda Guerra Mondiale l’impossibilità di conteggiare precisamente il numero delle vittime rimane invariata.

Si stima che le vittime militari furono 319.207. Le vittime civili 153.147. In totale si conteranno circa 472.354 morti. Fra i tanti, di quanti si conosce la storia o il nome? Mentre chi, oggi come ieri, non conosce il nome di chi ne fu il responsabile?

Infondo, la gloria e il disprezzo hanno equamente colpito Mussolini. La sua immagine appare chiara, nitida, accompagnata alle spalle da fantasmi invisibili alla storia.

La guerra in Ucraina

Oggi il cuore dell’Europa trema ancora. L’Ucraina non è più blu, né gialla, ma rosso sangue. Sembrano essere state inutili le testimonianze di orrore, le pagine di storia, l’intitolazione a giornate di libertà. L’orrore si ripete, i morti crescono e la pace sembra un miracolo di cui non si conoscono i segreti.




Una guerra che continua, a un anno esatto dal suo inizio. Una guerra che non trova compromessi, accordi che possano accontentare i grandi, i potenti, mentre chi vorrebbe solo tornare alla normalità, continua a morire. A un anno dal suo inizio, chi è fuggito non può tornare a casa, chi è rimasto, invece, cerca di resistere.

Dall’inizio della guerra, scoppiata il 24 febbraio scorso, l’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani – Unhcr – ha registrato tra i civili 7.199 morti, di cui 456 bambini, mentre i feriti ammonterebbero a 11.756. Come in tutte le guerre, però, non si hanno certezze. Nella realtà, le cifre registrate potrebbero essere anche il doppio.

Le guerre invisibili

Con lo scoppio della guerra in Ucraina, l’Europa si è risvegliata dal suo torpore, vedendo tornare lo spettro della guerra vicino casa. Eppure, le guerre non si sono mai fermate, ripetendosi ciclicamente, solo un po’ più lontano.

Ci sono guerre che appaiono invisibili, protagoniste solo di pochi minuti in un servizio giornalistico o nel consumarsi di una conversazione.

La guerra in Siria ne è un esempio lampante. Un conflitto iniziato nel 2011, di cui non si riesce a vedere ancora la fine, responsabile nell’aver causato centinaia di migliaia di morti, sfollamenti di massa e distruzione di infrastrutture civili. Tra le principali vittime, i bambini.

Si stima che quasi 12.000 bambini e bambine siano stati uccisi o feriti. Ma non solo. Attualmente il 90% dei minori in Siria necessita di assistenza umanitaria e oltre 1.300 strutture sanitarie ed educative, incluse le scuole, sono state direttamente oggetto di attacchi. Le guerre, ai bambini, rubano il futuro, la fantasia, i sogni. Danni incalcolabili vengono inflitti sul loro benessere fisico, mentale, emotivo e psicosociale.

Spezzare i fili

Arriva un momento in cui la miseria, la disperazione, l’insofferenza innescano meccanismi che neanche chi è a capo di grandi paesi riesce a sedare.

Il palco su cui vengono messi in scena spettacoli sconcertanti viene spazzato via, la scenografia di cartone prende fuoco, i fili delle marionette si spezzano. Il burattinaio cade, in preda alla sorpresa di una ribellione insospettata. L’arroganza con il quale si tiravano i fili, lascia spazio alla perplessità: le proprie marionette, credute inanimate, si ribellano, insorgono e ammutinano.

I bambini, seduti di fronte al palchetto, osservano i propri personaggi preferiti non sparare più, ideare storie nuove, in cui si vive nella speranza che insegnamenti creduti vecchi, fossero creduti ancora una volta immortali.

Angela Piccolomo

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