Di Carmelo Musumeci
In Italia, durante il 2022, si contano già 67 suicidi in carcere, probabilmente perché i prigionieri hanno più paura di vivere che di morire.
L’ultimo estremo gesto riguarda una donna di 51 anni, detenuta nel carcere bresciano di Verziano, che si è uccisa impiccandosi con un lenzuolo legato al collo.
In questi giorni pensavo che i detenuti conducono la vita più “sicura” al mondo, forse anche perché è difficile che facciano un incidente stradale.
Eppure i dati dicono che i detenuti si tolgono la vita e muoiono più delle persone libere.
Nessuno però dice nulla del fatto che hanno buoni motivi per farlo perché il carcere in Italia non insegna molte cose, ma una cosa la sa fare molto bene, sa “convincerti” a toglierti la vita.
I detenuti si domandano perché devono continuare a vivere anziché farla finita con una vita che tanto spesso è un inferno.
E ammazzarsi non è affatto una domanda, ma una risposta perché per un detenuto a volte è più importante morire che vivere, per mettere fine allo schifo che ha intorno.
Purtroppo spesso in prigione la vita è un lusso che non ti puoi permettere e per smettere di soffrire non puoi fare altro che arrenderti, perché in molti casi nelle nostre “Patrie Galere” vale più la morte che la vita.
Spero che un giorno qualcuno finalmente si domandi perché molti detenuti in Italia preferiscono morire piuttosto che vivere.
Spesso mi chiedo: ma il suicidio di un detenuto non rientra forse nella legittima difesa?
Credo che sotto certi aspetti sia più “normale” e razionale chi si suicida, rispetto a chi continua a vivere nella sofferenza.
Uccidersi non è facile, ma vivere nelle patrie galere italiane è ancora più difficile.
Per questo nelle carceri italiane si continua a morire.
I nostri politici dovrebbero sapere che in carcere si muore in tanti modi: di malattia, di solitudine, di sofferenza, di ottusa burocrazia e d’illegalità.
Riuscire a vivere nelle galere italiane è diventato un lusso che alcuni detenuti non si possono permettere.
Per questo a volte ammazzarsi diventa una vera e propria necessità.
E questa non è una libera scelta, come alcuni cinici potrebbero pensare, ma è legittima difesa contro l’emarginazione e la disperazione.