Due attacchi delle IDF (Forza di Difesa Israeliane) nelle ultime 48 ore stanno palesando la strategia israeliana nella guerra in corso a Gaza. L’obbiettivo è estendere il conflitto alla regione per procrastinare la resa dei conti politica interna e procedere con la pulizia etnica della popolazione palestinese.
Le cause di questa drammatica escalation sono riconducibili a una serie frenetica di eventi che hanno avuto luogo nell’arco di poco più di quattro giorni. Il precario equilibrio che ha retto il conflitto per dieci mesi, senza sfociare in una guerra regionale si è infranto. Il vaso di Pandora è ora aperto e il demone della guerra aleggia su tutta la regione mediorientale, con conseguenze che toccheranno da vicino noi tutti.
Come prevedibile un semplice errore umano potrebbe essere stata la scintilla che ha innescato la detonazione. Gli sviluppi sul campo indicano però che Israele ha deciso di muovere la regina in posizione di attacco, minacciando direttamente l’immagine e la credibilità di Teheran una volta di troppo. Consapevole delle circostanze e delle conseguenze, la guerra sembra essere iniziata e illazioni su quanto possa essere ancora contenibile lasciano il tempo che trovano.
I fatti:
Il 27 luglio un missile colpisce un campo da calcio a Majdal Shams, città abitata dalla minoranza Drusa, setta religiosa scissionista dell’Islam che vive tra Siria, Libano e Israele, più precisamente nella parte nord, le Alture del Golan. Muoiono 12 bambini e altre 30 persone rimangono ferite. Nei giorni successivi diversi ministri del governo di Tel Aviv e lo stesso Benjamin Netanyahu visiteranno l’area del massacro, visite non del tutto gradite da parte della popolazione locale. Le alture del Golan, e di riflesso la popolazione che le abita, sono di particolare importanza strategica per Israele. Quest’area passò dal dominio ottomano a quello francese, prima di divenire parte della Repubblica Araba di Siria. Israele occupò due terzi del territorio a seguito della Guerra dei Sei Giorni e da allora l’area rimane territorio conteso tra i due paesi.
A seguito di questo attacco, forse avvenuto per errore, la prevedibile risposta israeliana passa per Daniel Hagari, portavoce delle IDF: “La nostra intelligence è certa; Ḥizb Allāh è responsabile della morte di bambini innocenti”. “Prepareremo la risposta contro Ḥizb Allāh, agiremo presto”.
Netanyahu si trovava negli Stati Uniti al momento dell’attacco, ospite del Congresso USA per la quarta volta. Dopo aver appreso la notizia ha dichiarato: “Ḥizb Allāh pagherà un prezzo altissimo, un tributo mai versato sinora”.
I dodici bambini uccisi nell’attacco secondo fonti della CNN non erano in possesso di un passaporto israeliano.
30 luglio, risposta israeliana: un attacco areo colpisce la capitale libanese; l’obbiettivo è Fuad Shukr, anche noto come Muhsin Shukr, comandante delle truppe della milizia sciita e responsabile dell’attacco a Majdal Shams, così come di innumerevoli attentati contro la vita di civili israeliani e militari statunitensi. L’attacco ha colpito l’area adiacente al Consiglio della Shura, sede dell’organo decisionale strategico in ambito religioso e militare di Ḥizb Allāh, con sede nel quartiere di Haret Hreik, sud di Beirut.
L’attacco, secondo la rivendicazione di Ḥizb Allāh, non avrebbe centrato l’obbiettivo di eliminare il miliziano, che è anche tra i fondatori del gruppo paramilitare e consigliere dell’attuale leader supremo Hassan Nasrallah. Diverse fonti di intelligence occidentali danno invece per assodata la morte di Shukr, anche sulla base di fonti siriane vicine all’organizzazione.
Il più recente episodio che compone questa infinita spirale di vendetta ha avuto luogo a Teheran.
Oggi, 31 luglio, Israele ha colpito la capitale iraniana con l’obbiettivo di eliminare il leader politico di Hamas Ismail Haniyeh. La conferma della morte del proprio capo è arrivata dalla stessa Hamas, e dal Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica, l’esercito di Teheran. Ismail Haniyeh si trovava a Teheran per presenziare la cerimonia di insediamento del nuovo presidente Iraniano Masoud Pezeshkian, eletto a seguito della morte di Ebrahim Raisi il 19 maggio. Con lui ha perso la vita una delle sue guardie del corpo, colpiti entrambi da munizioni a guida di precisione o bombe intelligenti.
Le conseguenze: possibile guerra regionale
Questo è stato un ultimo patetico tentativo di contenere il numero di vittime, e quindi la potenziale risposta iraniana. Haniyeh stava alloggiando presso la sua residenza nel nord di Teheran, facente parte di un complesso residenziali per veterani dell’esercito. Il costo di questi armamenti spesso preclude il loro utilizzo nella guerra in corso a Gaza; perciò, contiamo un così alto numero di vittime civili.
Israele per ordine diretto di Netanyahu non ha ancora commentato ufficialmente la notizia.
Questa uccisione decreta la potenziale morte anche delle trattative in corso a Doha per la negoziazione di un cessate il fuoco. Ismail Haniyeh era infatti percepito come leader moderato dell’organizzazione, e compare tra le figure più importanti di Hamas impegnate nelle trattative che includono anche la liberazione degli ostaggi. Viveva a Doha, in esilio volontario dal 2019. Al suo posto il leader politico più influente rimasto a Gaza è oggi Yahya Sinwar, liberato dalle carceri israeliane nel 2011, nel corso dello scambio di 1027 prigionieri palestinesi liberati in cambio del militare israeliano Gilad Shalit.
Ad oggi pareva che Israele non fosse determinato ad estendere il conflitto alla regione. L’asse portante della resistenza che si oppone alla presenza statunitense nella regione, con avamposto Israele, ruota attorno all’Iran. Essa comprende Ḥizb Allāh libanesi, regime siriano di Bashar al-Assad, Hamas e Jihad islamica in Palestina, per finire con gli Huthi in Yemen, che da mesi tengono il commercio globale sotto scacco attraverso azioni di pirateria presso lo stretto di Bab al-Mandab.
In questi dieci mesi di conflitto Israele ha colpito ognuno di questi paesi. Ricordiamo gli attacchi presso gli aeroporti di Aleppo e Damasco in Siria, rispettivamente ottobre 2023 e a novembre 2023. Lo scalo di Damasco è stato nuovamente colpito a luglio di quest’anno poche ore dopo aver ripreso le attività.
Lo scambio di attacchi avvenuto con gli Huthi, in risposta al sabotaggio delle navi commerciali dirette, e in partenza da Israele.
Le ritorsioni, spesso dimostrative, con le milizie libanesi, iniziate già l’8 ottobre in risposta alla strage del 7.
Tutte queste iniziative militari sono comprese nel delicato gioco di equilibrismo che ha sempre retto la guerra permanente di bassa intensità tra le parti. I protagonisti di questo grande gioco sono antagonisti in simbiosi, capaci di presentarsi insostituibili alle rispettive opinioni pubbliche, laddove contemplate, in funzione dello stato di conflitto permanete.
Il 7 ottobre ha rappresentato un drastico cambio di paradigma, evento principe che ha sconvolto il tentativo unanime di sotterrare la causa palestinese in nome della normalizzazione delle relazioni dei paesi arabi influenti con Israele. Un ulteriore cambio di paradigma è stato l’attacco iraniano diretto contro Israele, del 13-14 arile 2024.
L’attacco ampiamente pubblicizzato da Teheran era inteso per non offendere. Stati Uniti e paesi arabi in concerto hanno contribuito alla buona riuscita dell’operazione dimostrativa. Obbiettivo principe: salvare la faccia e vendicare l’uccisione di militari iraniani colpiti all’interno dell’ambasciata iraniana a Damasco. Azione spregiudicata da parte israeliana che ha implicato la rottura di un tabù; non si colpisce l’ambasciata del tuo acerrimo nemico con cui combatti una guerra per procura dal 79. La risposta iraniana ha seguito la logica della legge del taglione, esito: rottura di un altro tabù. Non si colpisce direttamente l’avamposto del tuo nemico giurato.
Questa azione militare diretta contro Teheran rappresenta l’inizio della guerra. La risposta iraniana non si farà attendere. Le trattative per una pace diplomatica e la liberazione degli ostaggi muoiono assieme a Ismail Haniyeh.