La fusione nucleare basterà a salvarci dal cambiamento climatico?

Vista di una centrale nucleare al tramonto

Il 5 dicembre la Casa Bianca ha annunciato il successo dell’esperimento condotto dalla National Ignition Facility americana in un laboratorio californiano.

Per la prima volta nella storia dei ricercatori hanno realizzato una fusione nucleare a bilancio energetico positivo, vale a dire che rilascia più energia di quanta ne consuma. Le implicazioni sono rivoluzionarie: si tratta di una nuova fonte di energia verde e a basso consumo, che ora sappiamo di poter utilizzare anche commercialmente. Tuttavia gli scienziati hanno affermato che ci vorranno almeno altri 30 anni perché la sua produzione diventi conveniente dal punto di vista economico. E con il riscaldamento globale che aumenta di anno in anno, non dovremmo trascurare le fonti che già abbiamo a nostra disposizione.

Fusione nucleare: cos’è e come funziona

La fusione è la reazione che avviene nel nucleo delle stelle e che determina la loro vita. Semplificando all’estremo, è il procedimento speculare della fissione, quella che si usa attualmente nelle centrali nucleari. Mentre quest’ultima consiste nel bombardare di neutroni il nucleo di un materiale radioattivo di neutroni per dividerlo, nella fusione atomi di deuterio e trizio (isotopi dell’idrogeno) si uniscono, generando elio e rilasciando energia sotto forma di calore. Per quanto essa sia una delle fonti più pulite di energia che conosciamo (non emette CO2), non è rinnovabile e produce comunque delle scorie. Il trizio infatti è un elemento artificiale, e per produrlo bisogna utilizzare materiali moltiplicatori di neutroni, cioè radioattivi, come l’uranio.

In più, produrre energia attraverso la fusione nucleare al momento è inefficiente. L’esperimento condotto nel laboratorio del Dipartimento Per l’Energia statunitense ha utilizzato 2,05 MJ (megajoule) circa per produrre 3,15MJ. Il bilancio dunque è positivo, ma irrilevante se si considera l’energia che serve per far funzionare i laser o i tokamak, gli unici macchinari utilizzabili al momento in questo campo. Per avere un guadagno significativo bisogna sviluppare nuove tecnologie, che secondo gli addetti ai lavori richiederanno qualche decennio prima di diventare effettive e funzionanti. Un lasso di tempo non molto confortante, se pensiamo all’avanzare inarrestabile del cambiamento climatico. Secondo un articolo della rivista Nature, con i livelli di inquinamento attuali la temperatura globale si alzerà di oltre 1,5 gradi entro il 2031; supererà quindi il tetto massimo che era stato stabilito nell’Accordo di Parigi del 2015 per ridurre le emissioni di anidride carbonica.

Gli effetti della crisi energetica

A peggiorare la situazione c’è anche la crisi energetica provocata dalla guerra e dalle sanzioni su petrolio e gas. Da giugno 2022 la Germania ha iniziato ad attivare le sue centrali a carbone per smarcarsi dal gas russo. E in Italia Enel ha riaperto la centrale di Civitavecchia, il cui smantellamento era in programma per il 2025. Un cambio di rotta rispetto alla tendenza sviluppata ai tempi del Covid, quando le rinnovabili nel nostro paese arrivavano a coprire il 20% del fabbisogno nazionale. Eppure il ritorno ai combustibili fossili potrebbe andare fuori moda ancora prima di affermarsi.

Secondo un report delI’IEA sul mercato delle energie rinnovabili, la capacità mondiale di generazione da fonti eoliche, solari e altre rinnovabili è aumentata e quest’anno raggiungerà il nuovo record di 320 Gigawatt. Inoltre in Europa la Commissione, nell’ambito del progetto REPowerEU, ha proposto nuove misure di emergenza per accelerare la transizione verde e aumentare la capacità di produzione almeno di 50 Gw in territorio europeo. Sono misure fondamentali per la transizione, che però non risolvono il problema dello stoccaggio. Le fonti naturali infatti non garantiscono una produzione continua di elettricità, ma dei picchi alternati a momenti di inattività; per immagazzinare il surplus di energia servirebbero batterie molto più capienti di quelle attuali. E per produrle è necessario il litio, materiale estratto in miniere che mettono a rischio la sicurezza di alcuni ecosistemi ambientali.

La soluzione? Usare entrambi

L’idea di “fondere” i due sistemi di produzione, anche se in un altro senso, era già stata avanzata durante il webinar della Rappresentanza Permanente d’Italia presso le Organizzazioni internazionali a Parigi. Il progetto, ideato per rendere le centrali nucleari più sicure, prevederebbe l’integrazione nel quadro elettrico di un modulo alimentato a energia eolica. Ma alcuni paesi hanno proposto una collaborazione diversa tra nucleare e rinnovabili, in cui queste ultime servirebbero da fonte primaria, e le centrali colmerebbero i periodi di scarsa produzione (come l’inverno per il solare). Secondo uno studio condotto da alcuni ricercatori dell’università del Sussex, usare entrambi non sarebbe possibile; in un sistema basato sul nucleare attuale, cioè la fissione, le rinnovabili non sarebbero compatibili e la riduzione di emissioni praticamente insignificante.

Ma la fusione potrebbe cambiare le carte in tavola, essendo un modello che non richiede il consumo di materiali radioattivi e non danneggerebbe altre forme di produzione, visto il suo impatto minimo sull’ambiente circostante. L’importante è non dimenticare le altre alternative, e non fare un uso esclusivo di nessuna di queste. Come dicevano nell’antica Roma, in varietate concordia. In altre parole, la diversità è una ricchezza, anche nella scienza.

Lorenzo Luzza

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