Il Ministero dell’Istruzione di Parigi annuncia il divieto di indossare l’abaya nelle scuole a partire dall’inizio del nuovo anno accademico. Si riaccende la polemica sulla legge in vigore dal 2004, che vieta l’ostentazione di simboli religiosi nelle scuole. Il dibatto si incentra su una domanda chiave: simbolo culturale o religioso?
La Francia vieta l’abaya, ovvero la tradizionale tunica indossata da alcune donne musulmane in genere insieme all’hijab, nelle scuole primarie e secondarie. L’annuncio ufficiale è stato fatto nella giornata di lunedì 28 agosto dal ministro dell’Istruzione del governo di Parigi, Gabriel Attal, dopo mesi di discussioni sul tema.
Dopo quasi vent’anni dall’approvazione della legge n.28 del 15 marzo 2004, si allunga l’elenco degli indumenti vietati nelle aule perché considerati non rispettosi della laicità, principio cardine della scuola pubblica francese.
Il processo di attuazione della laicità nella scuola francese e non solo
La messa in vigore della legge n.28 del 15 marzo 2004, che vieta in tutti gli istituti “segni o abbigliamenti attraverso i quali gli alunni manifestino palesemente un’appartenenza religiosa”, ha ufficializzato l’applicazione del principio di laicità nel sistema accademico pubblico francese.
Dopo il dibattito nato in merito all’uso del burka e del niqab, definiti un come segno di asservimento e umiliazione per la donna, il Presidente francese Sarkozy spense tali polemiche affermando che nessuno di questi due tipi di abbigliamento erano più “benvenuti nella Repubblique”.
Nel 2010, un nuovo decreto ha stabilito il divieto di indossare abiti tradizionali che coprono tutto il corpo, impedendone quindi l’identificazione, in luoghi pubblici e soprattutto in edifici amministrativi.
Più recentemente, ovvero nel 2019, è stato ufficializzato il divieto di indossare l’hijab nelle competizioni atletiche francesi, rimarcando i principi repubblicani di un Paese che vede nella laicità un proprio principio fondamentale.
Il Ministero dell’Educazione rende pubblico il provvedimento con il quale la Francia vieta l’abaya
Come si può dedurre dalle righe precedenti, questa non è stata una decisione presa senza precedenti ai quali fare riferimento, ma è, evidentemente, un presa di posizione per ribadire il concetto di laicità in un Paese che ha una delle più numerose comunità islamiche d’Europa.
Nella conferenza stampa di inizio anno scolastico, il portavoce del governo, Olivier Véran, ha dichiarato a BFM che l’abaya è “chiaramente” di un abito religioso e che la scuola francese “è il tempio della laicità”.
«Siamo sempre stati chiari la scuola è il tempio della laicità. Non si va a scuola per fare proselitismo religioso ma per imparare. Quando si è in classe non ci si deve trovare esposti a segni religiosi ostentatori».
A queste parole si aggiungono quelle del Ministro dell’Istruzione francese, il quale dichiara in televisione:
«Non si potrà più indossare la abaya a scuola, vogliamo dare regole chiare a livello nazionale ai responsabili nelle scuole»
Le critiche mosse contro il ministro Attal
Dopo le dichiarazioni del ministro Attal, sono state mosse accuse di islamofobia contro il governo francese, provenienti dalla sinistra e da alcuni rappresentanti del mondo accademico.
Il leader della sinistra francese, Jean-Luc Me’lenchon, sostiene che tale presa di posizione porterà solamente ad una maggiore polarizzazione dello scontro politico e a un probabile inizio di un’assurda guerra di religione interna.
Infatti, molti esperti affermano che l’abaya, diffusa principalmente nei Paesi del Golfo e in Maghreb, non sia un indumento legato alla religione mussulmana, ma bensì uno stile che rappresenta un tratto culturale di quei popoli.
La Francia vieta l’abaya: il dibattito tra cultura e religione
Identificare se un indumento di questo tipo sia un simbolo religioso o appartenente ad una specifica tradizione culturale può risultare complicato anche per gli esperti in questo campo.
L’interpretazione che accomuna sia gli istituti scolastici sia Haoues Seniguer, professore a Sciences Po-Lyon e autore di numerose opere sull’islam di Francia, attribuisce all’abaya un doppio significato rispetto al velo islamico.
In questo contesto di dibattiti e polemiche, nel novembre 2022, una circolare dell’ex ministro dell’Istruzione, Pap Ndiaye, cercava di colmare i dubbi dei presidi, concedendo loro la possibilità di decidere se vietare o meno questi indumenti.
Secondo Massimo Cacciari, invece, quando si professa un atteggiamento autenticamente laico, vi è l’obbligo di accettazione delle usanze, delle tradizioni e della cultura di altri popoli e per questo afferma che tali decisioni riassumono un tratto caratteristico di alcuni Stati europei in cui la superiorità culturale è insita, anche se implicitamente:
“È una malattia antica, tipica dell’Europa centrale, che rappresenta quanto di meno scientifico e di più antistorico possa esistere. Integrazione non vuol dire ‘tu devi diventare uguale a me”
Andrea Montini