Mahatma Gandhi è stato uno dei più grandi combattenti per la libertà della storia moderna. Nella sua rivoluzione in difesa dei diritti del suo paese, fa uso della non violenza, la filosofia del satyagraha .
Mahatma Gandhi è stato il fondatore della filosofia del satyagraha, il metodo di lotta nonviolenta. Il satyagraha è comunemente tradotto con «resistenza passiva», ma il significato letterale è diverso, è «afferrare la verità»: tenersi afferrati, stretti alla verità. Infatti, la parola deriva dal sanscrito satya che significa verità, ciò che è. Mentre agraha ha valore di forza, fermezza. Si tratta, dunque, di aprire lo spazio dove la verità si afferma.
I tre pilastri della filosofia del satyagraha
A partire da questa definizione si concepiscono i tre pilastri della sua filosofia: verità, libertà, non violenza. La verità, come abbiamo detto, rappresenta il moto fondante di questa dottrina. Attraverso la completa liberazione dalla menzogna si raggiunge il primo gradino verso un perfezionamento etico e insieme civile.
A questo punto si aggiunge un altro essenziale elemento: il reale, il satya. É proprio la traduzione di questa parola indiana a suggerire il collegamento tra la verità e il reale. In sanscrito, infatti, queste ultime hanno una radice comune, sat. Proprio per questo motivo Gandhi concepisce la sua vita come un susseguirsi di “esperimenti con la verità“, alla stregua degli empiristi.
Il fine ultimo della filosofia del satyagraha è “restare aggrappati alla verità”, che si contrappone nettamente all’illusione e trova la sua più concreta opposizione nella violenza e nella disuguaglianza. In sintesi, resistenza contro aggressione. Per il filosofo indiano, resistenza ha in sé un valore più intenso rispetto alla violenza dell’aggressione.
Non violenza come disciplina
La non violenza, la ahimsa, assume invece un significa lontano dal buonismo in senso stretto. Rivela piuttosto una capacità di trascendere la violenza e la rabbia, anche attraverso la presa di coscienza del senso di giustizia da parte dell’avversario. Questo processo può avvenire solo se esiste una piena consapevolezza del bene e del male. Gandhi riuscirà a farlo con il suo popolo trasmettendogli una chiara coscienza della propria indipendenza politica e della propria dignità. In questo senso la ahimsa si ottiene solo in concomitanza con una ferrea autodisciplina.
Il punto di partenza di questo percorso è necessariamente la propria ed intima natura, che va educata a non cedere ai piaceri, alla resistenza, appunto. Solo attraverso il rigore e la disciplina, quindi, è possibile raggiungere la non violenza. A questo proposito, nella sua filosofia, la violenza assume il significato di ferita, la himsa . E chi in mezzo alla himsa possiede la non violenza è benedetto.
Verità è libertà
A questo punto subentra il concetto di swaraj, cioè libertà. Anche in questo caso il punto di partenza è proprio un esame di coscienza a noi stessi. Solo assumendoci la responsabilità del nostro cambiamento è possibile passare ad occuparci di questioni sociali o politiche. Per Gandhi, ogni cambiamento deve partire dal gradino più basso, dal punto più interno, attraverso un’intensa autoanalisi. Una volta raggiunta questa consapevolezza, questa verità, avremo raggiunto la libertà. Saremo liberi dalla paura e quindi liberi dal dominio altrui.