La fiaba di Biancaneve: invenzione o realtà storica?

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Lupi, fate, streghe, orchi e boschi parlanti: delle più diverse nature sono le creature fantastiche che popolano i racconti fiabeschi. Ma se a celarsi dietro questi elementi immaginari ci fosse una realtà storica molto più concreta di quanto non si creda?

Nel 1994, lo storico tedesco Eckhard Sander concentrò i suoi studi intorno ad un caso particolare: la fiaba di Biancaneve. Lo studioso aveva rintracciato una serie di dati a testimonianza del fatto che il racconto collezionato dai fratelli Grimm nelle Fiabe del focolare fosse la versione romanzata di un fatto storico realmente accaduto.

La giovane principessa Biancaneve altri non sarebbe se non Margarethe von Waldeck, una fanciulla di leggendaria bellezza dall’infelice vita. La contessina, vissuta davvero nella Germania del Cinquecento, avrebbe condotto un’esistenza ben diversa da quella della protagonista della favola romantica. L’amore che la legò a Filippo II di Spagna, futuro erede al trono, fu la causa della sua morte e la scortò verso un epilogo amaro privo di lieto fine.

La relazione tra Margarethe e Filippo II, infatti, mal si conciliava con la politica del grande regno su cui “non tramontava mai il sole”. La polizia segreta dell’impero riuscì laddove la regina Grimilde fallisce nella favola: avvelenò l’infelice contessina, che morì all’età di soli ventuno anni.

Se le assonanze tra la fiaba di Biancaneve e la realtà storica non dovessero ancora aver convinto i lettori più scettici, le indagini di Sander proseguono rivelando nuovi dettagli.




La famiglia della bella Margarethe ha molti tratti in comune con quella di Biancaneve. Anche la fanciulla era orfana di madre ed era stata cresciuta da una matrigna sin dalla più giovane età. Il padre, il conte Filippo IV di Waldeck, era poi il padrone di miniere di bronzo situate tra le montagne del villaggio di Bald Wildugen.

Battute da un capo all’altro le zone minerarie della Germania, si scoprì che erano i bambini a svolgere i lavori di estrazione nelle cave. Avvolti in goffi indumenti da lavoro e ritardati nello sviluppo fisico dalla fatica, non è difficile immaginare come il loro aspetto abbia potuto ispirare la creazione dei personaggi dei sette nani.

E la famosa mela avvelenata?

Il tratto più iconico della favola ha un corrispondente storico altrettanto documentato. Nel Cinquecento erano ancora forti le suggestioni legate alla stregoneria e all’occulto. Intorno agli anni ’30 del secolo è attestata la presenza, proprio nel villaggio di Bald Wildugen, di un particolare stregone dalle doti peculiari. Si diceva fosse capace di avvelenare i meli, peraltro fiorenti in quel territorio, fino al punto da causare terribili intossicazioni alla gola in chi si fosse nutrito dei frutti dell’albero.

Tutte queste tracce potrebbero essere semplici coincidenze o casualità, leggende che hanno viaggiato nel tempo parallelamente alla fiaba di Biancaneve. Tuttavia è suggestivo pensare che i percorsi si intreccino, che la storia possa aver attinto dalla realtà per ritornare ad essa mediante i suoi insegnamenti.

Quando i fratelli Grimm diedero alle stampe la loro raccolta di Fiabe nel 1812, avevano anteposto alle storie una personale prefazione. In questa premessa, paragonavano il loro lavoro non a quello degli scrittori, che inventano qualcosa dal loro autentico genio, ma a quello dei raccoglitori, che salvano spighe di grano sopravvissute alla tempesta.

Non ci è dato sapere se il lavoro di collezione e raccolta dei due fratelli abbia riguardato solo le fiabe che la tradizione aveva consegnato al tempo o anche le ispirazioni storiche alle origini di queste stesse. Ciò che è evidente è che le vicende della bella e infelice contessina affascinano tanto quanto la dolce fiaba di Biancaneve.

Chissà se forse, in fin dai conti, una favola diventa senza tempo non solo grazie alla fantasia, ma anche quando presenta un pizzico di realtà, che rende l’incanto più vero e la storia ancor più vicina a noi.

Martina Dalessandro

 

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