La dittatura nelle parole (e sulla pelle) di Sepúlveda, Fabbri e Walsh

Cordoba, Argentina. Un murales ricorda i desaparecidos

LA DITTATURA IN AMERICA LATINA NEGLI ANNI ’70 E ’80

America latina. Terra di golpe, sangre e caudillos. Una cultura “calda”, abituata alla figura dell’uomo forte, quello temuto e rispettato che arriva e mette in riga tutto e tutti. Un retaggio risalente alle lotte per l’indipendenza che sarebbe pesato come un macigno nella storia contemporanea di molti paesi sudamericani, facili prede di uomini forti in cerca di gloria. Non più disordinati pistoleri alla Pancho Villa. I “nuovi” hombres fuertes erano i militari. Non una novità certo, ma nessuno poteva immaginare una tale esplosione collettiva della dittatura militare nel cosiddetto Cono Sud del subcontinente americano. Furono diversi i regimi di questo tipo in America latina nella seconda metà del XX secolo, ma su tutti i più tristemente noti presero piede in Cile, Uruguay e Argentina. Ne sa qualcosa chi ebbe la sfortuna di viverli in prima persona. 

Il dissenso andava represso, di qualsiasi forma esso fosse e con qualsiasi mezzo. Molte testimonianze sono giunte sino a noi di quei tempi bui. Erano gli anni del Plan Condor, becera operazione concertata dai regimi militari per scambiarsi informazioni e sostegno sulla caccia ai potenziali elementi pericolosi. Quello che ne uscì fu un genocidio su scala “ridotta”. Le peggiori dittature in circolazione unite ed alleate per consolidare ancor di più il proprio nefasto potere. Un’intera generazione sparì. Torturata, violentata, imprigionata, rapita, uccisa. Desaparecida. Per raccontare lo scempio delle tre grandi dittature del Cono Sud, si prenderanno a esempio altrettante esperienze simboliche di tutte le altre decine e decine di migliaia di vittime. Quella del cileno Luis Sepúlveda, dell’uruguaiana Edda Fabbri e dell’argentino Rodolfo Walsh.

IL GIOVANE SEPULVEDA TRA ALLENDE E PINOCHET

Pinochet e Sepúlveda, probabilmente i due cileni della storia contemporanea più famosi al mondo. Secondi forse solo al grande Pablo Neruda. Eppure l’avvento del primo irromperà nella vita degli altri due (e di tutto il Cile). Neruda morì una decina di giorni dopo il sanguinoso golpe dell’11 settembre 1973, ma in tempo per attaccare duramente il nuovo caudillo. Sepúlveda invece si trovava proprio lì, alla Moneda, palazzo presidenziale al centro delle violenze che accompagnarono la triste fine del presidente Salvador Allende. Infatti il giovane scrittore faceva parte della guardia personale del defunto presidente socialista. Venne arrestato, torturato in maniera brutale e rinchiuso in una cella minuscola per ben sette mesi. Fu scarcerato su pressione costante di Amnesty International, ma venne nuovamente arrestato e condannato all’ergastolo per il suo impegno politico e letterario contro il regime.

Il poeta e scrittore cileno Luis Sepúlveda

Scarcerato e mandato in esilio ancora grazie ad Amnesty, Sepúlveda girò per il mondo portando sempre con sé il dolore vissuto e la lotta per i diritti umani. Il tema dei desaparecidos torna spesso nelle sue interviste, e quello del regime nelle sue opere. Molto toccante fu la sua testimonianza in un programma del 2001 condotto da Enzo Biagi, dove il poeta cileno raccontava degli amici e compagni di lotta che sparivano nelle maglie della rete repressiva di Pinochet.

 

 

TREDICI LUNGHI ANNI DI RESISTENZA

Anche l’Uruguay cadde nell’incubo della dittatura militare (che il vicino Paraguay viveva dal 1954 e avrebbe vissuto fino al 1988). Quando nel 1973 il presidente Juan Maria Bordaberry assunse pieni poteri con un golpe, il paese cadde nelle mani dei militari, veri deus ex machina di quella fase. Bordaberry fu destituito dai militari stessi nel 1975, ma questo non fermò il clima di terrore e di repressione, anzi. La dittatura militare sarebbe durata fino al 1985, e ci fu chi la trascorse tutta chiuso in carcere come prigioniero politico. Tra questi, il futuro presidente Josè “Pepe” Mujica, lo scrittore Mauricio Rosencof e la scrittrice Edda Fabbri.

Juan Maria Bordaberry

Nel 2007 la Fabbri raccolse le memorie di quella tragica esperienza in Oblivion, romanzo premiato dalla prestigiosa Casa de las Américas e lampante esempio di letteratura testimoniale. L’autrice si affida ai ricordi dolorosi, e su questi costruisce il racconto della lunga prigionia condivisa con altri cittadini vittime della dittatura. Il testo di inserisce inoltre nel ricco filone narrativo della letteratura femminile che prese vita negli anni dei regimi latinoamericani. Sempre per l’Uruguay si ricorda l’opera Anahì del mare della scrittrice Anna Milazzo. Altrettanto degno di nota fu il romanzo Mi nombre es Victoria dell’argentina Victoria Donda, che solo da adulta scoprì di essere una delle molte vittime delle adozioni forzate del regime di Videla.

 




 

IL GIORNALISTA CORAGGIOSO CHE SFIDO’ LA “JUNTA”

Rodolfo Walsh è considerato il padre del  “romanzo-verità” e del giornalismo investigativo. Un misto di letteratura testimoniale e genere poliziesco che affronta la verità e la racconta, vivendola anche in prima persona. La sua fama si deve a due aspetti lontani e separati nel tempo ma non nello spirito: la pubblicazione del libro Operación Masacre  del 1957 e la sua morte venti anni dopo per mano del regime argentino. Walsh  fu rapito mentre diffondeva copie della sua Carta Abierta de un Escritor a la Junta Militar. Una lettera sofferta e audace di denuncia, in cui il giornalista chiedeva conto direttamente a Videla delle sue malefatte, fornendo anche un elenco di desaparecidos. Walsh pagò questo affronto entrando anche lui in quell’elenco, che alla fine conterà oltre 30.000 persone.

Rodolfo Walsh

 

In Operación Masacre un trentenne Walsh prende già coscienza dell’impegno sociale legato al mestiere di giornalista  e scrittore. Il libro precede di nove anni A sangue freddo di Truman Capote, considerato il fondatore di questo tipo di saggistica giornalistica. Il testo di Walsh narra del massacro di alcuni militanti peronisti da parte della polizia di Buenos Aires nell’ambito degli eventi legati alla ribellione del 1956 contro il regime di Aramburu. Negli anni successivi prese parte agli scontri dei ribelli Montoneros (di cui faceva parte) contro le forze del regime. Fu in uno di questi episodi che venne uccisa sua figlia Victoria. Tuttavia, il lutto non fece venir meno il suo impegno letterario e giornalistico contro la “Junta”.

 

 

Mario Rafaniello

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