Aumentano le tensioni tra Russia e Giappone per la contesa dell’arcipelago, dopo che Mosca ha comunicato lo schieramento di un sistema missilistico sull’isola di Paramushir. Mentre il popolo degli Ainu che le abita rischia di scomparire nell’indifferenza.
La disputa delle Curili si riaccende dopo anni di calma apparente. Risale infatti a lunedì 5 dicembre la notizia che il Cremlino sta dispiegando armamenti su una delle isole, nel tentativo di riaffermare la sua sovranità sulla regione. In una lettera trapelata dell’FSB (il servizio di spionaggio e di controspionaggio russo) appare anche un’altra novità: durante il 2021 la Russia aveva programmato un attacco militare contro il Giappone limitato alla zona dell’arcipelago. Una propaganda anti-nipponica avrebbe dovuto assistere le manovre militari, seguendo la stessa narrazione con cui ora la Russia giustifica la sua “operazione speciale” in Ucraina. I giapponesi sarebbero stati dunque presentati come nazisti, e l’attacco come una manovra preventiva per evitare una loro aggressione.
Anche se questo scenario non si è mai realizzato, le relazioni rimangono comunque tese. Già nel 2019 il ministro degli esteri russo Lavrov, dopo un dialogo con il suo omologo giapponese, aveva esortato il paese del Sol Levante a riconoscere le isole come territorio della Federazione. Ma la disputa delle Curili nasce in tempi molto più antichi, circa due secoli fa, e non ha mai chiamato in causa i legittimi abitanti del luogo, il popolo indigeno degli Ainu. Una volta maggioranza assoluta, oggi sono ridotti a piccole comunità sparse nell’arcipelago, spesso completamente assimilate a una delle due culture predominanti, slava o nipponica. Solo alcuni nuclei, rimasti fedeli alla loro cultura originale, provano ancora a tramandarla e a farla conoscere per non perdere la propria storia.
La storia della disputa delle Curili
Il primo confronto tra le due potenze sulla regione compresa tra l’Hokkaidō e la penisola della Kamchatka risale al 1855. In quell’anno Giappone e Impero Russo firmarono il trattato di Shimoda, che stabiliva il confine delle rispettive aree di influenza tra le isole di Iturup e Urup. Il governo nipponico, che già da molti secoli aveva relegato gli Ainu al ruolo di braccianti per la pesca e altre attività, con lo shogunato (governo militare) dei Tokugawa aveva intrapreso una vera e propria repressione nei territori recentemente conquistati del Mare del Nord. Dal canto loro le truppe dello Zar, che avevano condotto alcune esplorazioni non ufficiali già nel 1711, erano arrivate fino all’isola di Iturup e avevano costretto tutti i loro abitanti a prestare giuramento all’Impero.
La prima svolta avviene nel 1904, con l’inizio della guerra russo-giapponese. In seguito alla vittoria del Giappone, che sbaragliò la flotta russa, il conflitto si concluse con la firma del trattato di Portsmouth, che assegnava l’isola di Sachalin e quelle adiacenti a Tokyo. Tuttavia bastò qualche decennio affinché i sovietici, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, potessero riprendersi questi territori. L’ultimo tentativo di risolvere la questione fu il trattato di San Francisco del 1951, che però l’URSS non firmò in quanto esso non riconosceva la sovranità di nessuno stato sulla regione dell’arcipelago. Da quel momento in poi Mosca e Tokyo portarono avanti trattative diplomatiche che ancora oggi non hanno dato frutti.
L’entrata in guerra della Russia ha allontanato ulteriormente una soluzione diplomatica per la disputa delle Curili: la catena di isole rappresenta infatti una linea di difesa naturale del Mar Okhotsk, che ha per la Russia un’importanza sia economica che strategica. Nel vulcano Kudryavy sull’isola di Iturup c’è poi la presenza di Renio, un minerale molto prezioso usato anche nella produzione di armamenti.
Il popolo dell’Orso
Il popolo Ainu risiede nelle Curili da molto più tempo di qualsiasi altra etnia. Probabile discendente delle popolazioni siberiane, la sua cultura è caratterizzata da un legame profondo con la natura e dalla vita di comunità. Gli Ainu hanno una religione con elementi animisti e politeisti, simili a quelli dello Shintoismo giapponese, e venerano i Kamui, divinità che rappresentano diverse manifestazioni della natura. Proprio come i loro vicini nipponici, anche questo popolo possiede un animale simbolo, che esercita la funzione di nume tutelare dei Kotani (villaggi), ovvero l’orso.
La storia degli Ainu diventa tormentata a partire dai primi contatti con i clan del Giappone feudale. Dopo due guerre, una nel 1456 e un’altra nel 1669, i clan resero gli indigeni niente di più che la loro forza lavoro in attività come la pesca o l’agricoltura. Inoltre gli scambi commerciali tra l’Honshū e l’Hokkaidō favorirono il diffondersi del vaiolo nel popolo dell’Orso, che non aveva mai affrontato la malattia e quindi ne fu decimato.
La storia perduta degli Ainu
A partire dal 1800, in pieno periodo Edo, inizia la vera e propria assimilazione degli Ainu alla cultura giapponese. I funzionari imperiali costringono gli abitanti delle isole ad emigrare, per consegnare le loro terre agli ex samurai che si stavano trasferendo verso nord. Le donne indigene furono allontanate dalle famiglie e vennero costrette a sposarsi con uomini giapponesi; inoltre un provvedimento del 1899 riconobbe la popolazione come ex-indigena, negandole quindi ogni unicità e omologandola alla cultura continentale.
Fortunatamente nel 2008 il governo giapponese ha riconosciuto gli Ainu come minoranza, e dal 2019 promuove iniziative per far conoscere la loro storia attraverso musei o villaggi ricostruiti, dove i visitatori possono assistere alle loro danze tipiche e conoscere una civiltà quasi dimenticata. Una civiltà fondata sul legame con la propria terra e sulla comunità, che è rimasta coesa nonostante secoli di discriminazione e lotte. E che non dobbiamo abbandonare, se non vogliamo che scompaia.