La diffamazione su Facebook rappresenta un reato

Il mondo virtuale dei social network è ormai amplissimo, con milioni di utenti connessi quotidianamente. Tuttavia Facebook e altre piattaforme social non rappresentano il paese dei balocchi del nuovo millennio, dove tutte è facebook-257829_960_720concesso e perdonato, ma rimangono ancorati allo stato di diritto nel quale viviamo, con le conseguenze che ne derivano: come nel caso della diffamazione.

Infatti postare commenti offensivi nei confronti di altre persone, nonché di enti e amministrazioni, è un reato perseguibile penalmente. A sancirlo è la Corte di Cassazione che ha deliberato sul caso di un commento offensivo postato sulla bacheca del profilo personale di un utente registrato su Facebook. In particolare, il reato rubricabile come diffamazione a mezzo stampa.

La sede della Corte di Cassazione di Roma

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 24431/2015 ha decretato che postare un commento su Facebook «ha potenzialmente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone» pertanto « la condotta di postare un commento sulla bacheca Facebook realizza, pertanto, la pubblicizzazione e la diffusione di esso, per la idoneità del mezzo utilizzato a determinare la circolazione del commento tra un gruppo di persone comunque apprezzabile per composizione numerica, di guisa che, se offensivo tale commento, la relativa condotta rientra nella tipizzazione codicistica descritta dal terzo comma dell’art. 595 c.p.».

In sostanza, la diffusione e capillarità garantita ai commenti lasciati sul famoso social network hanno portato la Corte di Cassazione a considerare la diffamazione sulla rete pari a quella su mezzo stampa. Oltre alle persone fisiche il codice penale tutela la reputazione di corpi politici, enti, e amministrazioni, stabilendo per quest’ultimi pene più gravi.

Altro capitolo riguarda la condivisione di un post diffamatorio che abbiamo trovato in rete.

Non integra il reato di diffamazione l’aver condiviso una discussione telematica dove altri hanno scritto frasi offensive verso una terza persona. Il perno sul quale si poggia la Corte di Cassazione, Sezione V Penale, con sentenza del 29 gennaio 2016, n. 3981, e che l’utente stesso non abbia approvato, quindi, senza che ci sia stata una volontaria adesione ed una consapevole condivisione del contenuto diffamatorio.
Nonostante le sentenze, appare complicato districarsi e tutelarsi nel mondo della rete. La recente campagna elettorale ha alimentato gli istinti più barbari degli utenti che sempre più agevolmente si lasciano andare a frasi di stampo sessista, razzista, e intimidatorio. Anche alcuni personaggi del mondo dello spettacolo non sono immuni da questa triste abitudine: è di qualche giorno fa la notizia della querela avanzata da Loredana Lecciso contro gli insulti sui social.

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