Laura Rienzi
Professore a contratto in Biotecnologie della Riproduzione Assistita, Dipartimento di Scienze Biomolecolari, Università Carlo Bo, Urbino
Presidente della Società Italiana di Embriologia, Riproduzione e Ricerca (SIERR)
Direttore dei Laboratori di PMA Clinica Valle Giulia Roma, GENERA Veneto, GENERA Umbria, Clinica Ruesch Napoli
Gli sviluppi della biologia molecolare ed il sequenziamento del genoma umano hanno consentito una diffusione capillare delle conoscenze nel campo della genetica aumentando considerevolmente la nostra cognizione del suo ruolo in molte patologie e nell’infertilità.
Le patologie genetiche, si classificano principalmente come monogeniche, cromosomiche e multifattoriali.
Le malattie monogeniche sono generalmente causate da variazioni della sequenza del DNA di un singolo gene. Se ne conoscono più di 10.000, alcune delle quali sono relativamente frequenti nella popolazione italiana. Per esempio, l’anemia mediterranea (o beta-talassemia) con un’incidenza in Italia di 1/10.000 nati o la fibrosi cistica con un’incidenza di 1/2.500 nati. Si calcola che il circa 1,5% delle coppie italiane è a rischio di trasmettere al proprio figlio una patologia genetica diagnosticabile perché inconsapevolmente portatori di una mutazione.
Le patologie cromosomiche comprendono invece i riarrangiamenti cromosomici strutturali presenti nel cariotipo parentale (delezioni, inversioni, duplicazioni e traslocazioni) o numerici che insorgono generalmente de novo. Le manifestazioni cliniche di tali patologie, che hanno un’incidenza pari a quasi l’1% dei nati vivi e sono estremamente dipendenti dall’età riproduttiva della donna, sono anche una delle principali cause di aborto spontaneo nella nostra specie. Di queste, la sindrome cromosomica più comune e conosciuta è la trisomia del cromosoma 21 (Sindrome di Down: 1/800 nati).
L’identificazione del rischio genetico prima del concepimento mediante esami di screening consente alla coppia di acquisire consapevolezza circa la propria condizione, per poter fare le scelte riproduttive opportune. In caso di presenza di un rischio riproduttivo è infatti possibile usufruire non solo della diagnosi pre-natale e, in caso di positività, dell’aborto terapeutico ma anche della diagnosi genetica pre-impianto. Questa consiste nell’effettuare un trattamento di Procreazione Medicalmente Assistita di Fecondazione in vitro ed una analisi genetica sugli embrioni prodotti prima del loro trasferimento in utero. Il fine è quello di ottenere una gravidanza di un feto non affetto dalla patologia in esame e, quindi, di minimizzare alla coppia il doloroso percorso dell’eventuale aborto terapeutico.
Attualmente, la diagnosi genetica pre-impianto ha un ampio spettro di applicazioni cliniche che spaziano dallo studio di patologie genetiche e/o sbilanciamenti cromosomici del cariotipo paterno/materno ereditabili alla definizione dell’intero cariotipo embrionale al fine di identificare sbilanciamenti cromosomici de novo. Tecnicamente qualunque patologia è diagnosticabile in epoca pre-impianto purché se ne conosca la mutazione causativa o l’aplotipo a rischio [1].
La Società Europea di Medicina e Biologia della Riproduzione ESHRE (dati ESHRE PGD CONSORTIUM) [2] ha recentemente riportato i risultati di 6160 cicli di prelievo ovocitario per diagnosi pre-impianto effettuati in 60 centri europei. Il tasso di gravidanza medio è risultato essere del 23% per ciclo. Le indicazioni principali sono state: malattie monogeniche (1597 cicli), anomalie cromosomiche presenti nel cariotipo parentale (870 cicli), patologie X-linked (113 cicli) e ricerca di aneuploidie (3551 cicli). Dal punto di vista diagnostico, le tecniche molecolari utilizzate risultano estremamente efficienti, i dati europei mettono in evidenza un elevatissima accuratezza diagnostica confermando la validità, robustezza ed efficacia della diagnosi pre-impianto. In particolare, nessun errore diagnostico è stato riportato in questa casistica di cicli effettuati per malattie monogeniche, mentre per le anomalie cromosomiche l’accuratezza diagnostica è stimata essere superiore al 99% [2]. Dal punto di vista biologico, le metodiche di biopsia allo stadio di blastocisti non evidenziano alcun impatto sulla competenza riproduttiva dell’embrione come riportato da uno studio prospettico randomizzato (Classe I) [3]. Infine i nati a seguito della diagnosi pre-impianto non mostrano alcun incremento in termini di parto prematuro o malformazioni, né alcuna riduzione del peso alla nascita. Questo quanto emerso da uno studio recentemente pubblicato su più di 88.000 nati da fecondazione assistita con e senza diagnosi pre-impianto [4].
Conclusioni
La componente genetica è fondamentale nella riproduzione umana e gli avanzamenti tecnologici in nostro possesso consentono elevata accuratezza nell’identificazione di embrioni con un corredo cromosomico normale e/o non affetti da mutazioni genetiche presenti nel cariotipo parentale. La diagnosi pre-impianto è pertanto considerata una valida alternativa alla diagnosi pre-natale. Questa tecnica si prefigge infatti l’obiettivo di consentire alle coppie (fertili ed infertili) di essere informate circa lo stato di salute dei propri embrioni prima dell’istaurarsi della gravidanza ed in questo modo di minimizzare i rischi gestazionali quali l’aborto spontaneo/terapeutico e le sindromi cromosomiche/genetiche fetali. La diagnosi pre-impianto è pertanto un fondamentale e accurato strumento diagnostico, ampiamente riconosciuto dalla comunità scientifica, che dovrebbe essere reso accessibile ad ogni coppia a rischio al pari della diagnosi pre-natale.
BIBLIOGRAFIA
1) Harper J.C., Wilton L., Traeger-Synodinos J., Goossens V., Moutou C., SenGupta S.B., Pehlivan Budak T., Renwick P., De Rycke M., Geraedts J.P.M. and Harton G. (2012). The ESHRE PGD Consortium: 10 years of data collection. Hum. Reprod. Update, 18(3): 234-47.
2) Moutou C, Goossens V, Coonen E, De Rycke M, Kokkali G, Renwick P, SenGupta SB, Vesela K, Traeger-Synodinos J. (2014) ESHRE PGD Consortium data collection XII: cycles from January to December 2009 with pregnancy follow-up to October 2010. Hum Reprod, 29(5):880-903.
3) Scott R.T. Jr, Upham K.M., Forman E.J., Zhao T. and Treff N.R. (2013) Cleavage-stage biopsy significantly impairs human embryonic implantation potential while blastocyst biopsy does not: a randomized and paired clinical trial. Fertil. Steril., 100:624–30.
4) Sunkara SK, Antonisamy B, Selliah HY, Kamath MS (2017). Pre-term birth and low birth weight following preimplantation genetic diagnosis: analysis of 88 010 singleton live births following PGD and IVF cycles. Hum Reprod, 32(2):432-438