La democrazia al tempo dei social soffre di una grave crisi di identità. Come creare dei buoni elettori attraverso l’oscuramento delle bufale dai social? Dal caso Trump, alla Boldrini su Twitter, dalla Cassazione sulla diffamazione social alla denuncia dell’ordine dei giornalisti contro le liste di “proscrizione” di Di Maio (M5S) fino alle campagne anti Fake News messe in campo in Francia e in Germania in vista delle elezioni tutti hanno un’opinione differente sul male dei tempi moderni ma un unico obiettivo: regolamentare l’informazione sul web.
Dopo Trump è lotta alla Fake news
A Novembre sono apparse le prime notizie riguardanti l’accusa, fatta ai social -Facebook in testa-, della responsabilità sulla vittoria di Trump alle elezioni. Facebook in particolare sarebbe responsabile, a detta di molti commentatori, di aver polarizzato gli utenti su due distinti fronti e di aver lasciato diffondere articoli falsi che avrebbero spostato un numero importante di voti da uno schieramento all’altro.
“Folle pensare che la gente abbia votato in base a notizie false circolate su Facebook” avrebbe esclamato Zuckerberg, ma le recenti notizie fanno pensare che le accuse abbiano sortito il loro effetto. (Repubblica)
Le elezioni
E’ infatti di ieri, otto febbraio, la notizia che conferma quello, che già ci era stato anticipato a Novembre peraltro, che sia Google che Facebook abbiano messo in campo progetti simili in vista degli eventi che accentreranno l’attenzione internazionale.
L’avvicinarsi delle presidenziali francesi in Aprile e delle politiche tedesche in Settembre, infatti, hanno spinto le varie aziende a trovare soluzioni idonee per non essere, in futuro, nuovamente al centro di polemiche. In Francia, Facebook, ha deciso di provare una politica meno censoria di quella che la Germania ha proposto come legge e che prevede la rimozione in 24 ore delle notizie riconosciute come false.
La proposta del gruppo di Zuckerberg è quella di creare una serie di livelli di verifica che allunghino il tempo di pubblicazione di un post e di sottoporre ad un team di esperti esterni, per lo più media d’informazione, le notizie segnalate come possibili fake. Qualora fossero reputate Fake News il social provvederà a ridurre la visibilità della notizia da tutte le timeline degli utenti. Questo dovrebbe abbassare l’impatto della notizia stessa e scoraggiare i cercatori di like facili. Stesso intervento sarà proposto per le elezioni tedesche.
Azione simile progettata anche da Google, che stanziando fondi per il progetto “First Draft News”, ha coinvolto 15 media -tra cui Le monde e AFP-, per verificare l’autenticità delle notizie prima che queste si diffondano a macchia d’olio. Secondo le previsioni del portavoce di Google, per le presidenziali tedesche, il sistema sarà sicuramente già attivo e perfettamente funzionante. (Affari Italiani)
Il caso italiano: #BastaBufale e via alla ghettizzazione del cattivo
Ieri, otto febbraio è scesa in campo anche la Boldrini con una campagna che, in poche ore ha scalato la classica degli hashtag di Twitter, surclassando anche, temporaneamente, quelli dedicati a Sanremo. #BastaBufale è la campagna che dovrebbe restituire un diritto fondamentale ai cittadini del web: l’informazione vera e corretta.
Il problema è chi faccia cosa e chi controlla chi fa. Dal sito Bastabufale.it (http://www.bastabufale.it/) che raccoglie le firme per una petizione, a parte leggere L’elenco dei vip che hanno aderito tra cui figurano anche Totti, Carlo Verdone e Fiorello, si legge una sorta di vademecum su come ostracizzare coloro che fanno delle bufale un business. Indicazioni che peraltro ricordano quelle suggerite dai commentatori americani a coloro che vogliono contrastare le notizie fake, come quella che invita le aziende a non comparire nei siti che le diffondono o accanto alle notizie stesse che vengono reputate bufale. (Giornale di Sicilia)
Sistema inapplicabile per esempio negli annunci random di Google su alcune sue piattaforme e che sicuramente preveda la convergenza di intenti di più rappresentati della filiera del web. A questo si aggiunge la domanda che riguarda il “chi controlla”. Verrebbe naturale dire i media che, però, da anni sono sotto accusa di parzialità e a volte di mancata verifica delle notizie.
L’Ordine e la lista di proscrizione del M5S
Sempre ieri, peraltro si è avuta notizia della denuncia dell’Ordine dei Giornalisti contro Di Maio, reo di aver redatto una sorta di lista di proscrizione di giornalisti colpevoli di essersi macchiati di mancato “rispetto della verità a cui ogni giornalista, per deontologia ed etica professionale”. È uno stralcio della lettera che cita nomi e cognomi dei giornalisti in questione, consegnata dal Vicepresidente della Camera del M5S a Jacopino presidente Ordine, in relazione ai fatti della vicenda Romeo/Raggi.
La risposta non si è fatta attendere e, riguardo la lettera, Jacopino ha risposto “ È un diritto che ha al pari di ogni altro cittadino, un diritto previsto da norme note a tutti i giornalisti.”. Ma ha anche ribadito che “ In occasione dell’incontro l’ho invitato a far sì che gli esponenti del M5S non proseguano in una azione di demonizzazione generalizzata dei giornalisti, manifestandogli il timore che questo clima possa determinare conseguenze dolorose che questo nostro Paese ha già subito in anni non lontani“. (Ansa)
La democrazia si costruisce con la censura?
In più è certo che l’accusa rivolta ai social e la messa in regime di progetti anti fake, nulla fanno in più che avvalorare la tesi dell’utente medio rappresentato come un perfetto idiota. L’utente medio che sarebbe quello che, in America, con una potenza del tutto inferiore alla politica, ha tolto un sostegno a Trump come Kalanik, Ceo di Uber. (Ansa) Con la campagna #deleteUber duecentomila utenti hanno cancellato l’app per protesta. Il tutto parte dal rialzo delle tariffe dei passaggi Uber in concomitanza degli scioperi al JFK contro il Muslim ban che hanno letteralmente paralizzato il sistema di trasposti da e per l’aeroporto di New York. Inutili le profferte a sostegno delle famiglie degli autisti danneggiati dal fermo trumpiano all’aeroporto, Kalanik ha dovuto girare le spalle al neo presidente americano.(Il fatto quotidiano)
C’è quindi da chiedersi perché la politica pensi sia importante tagliare all’origine invece di ricostruire un rapporto più schietto e di fiducia con il suo elettorato. Chi controllerà i filtri? Quali saranno i principi base? Siamo di fronte ad una nuova epoca di dati filtrati e svelabili solo attraverso fughe di notizie?
Ma tranquilli, su Facebook non è “diffamazione a mezzo stampa”
Almeno in Italia per ora è così, stando almeno a ciò che è comparso il 6 Febbraio scorso su Ansa.it, in cui si riporta la notizia della sentenza della V Corte di Cassazione. Si è pronunciata contro il ricorso della Procura di Imperia alla richiesta di procedere alla “denuncia per diffamazione a mezzo stampa” contro un sessantenne che aveva fatto pesanti apprezzamenti su Facebook. (Ansa)
Quindi tranquilli, possiamo non vedere le notizie che qualcuno decide che non siano giuste per noi, ma le pene, per l’eventuale diffamazione percepita da chi si sente offeso dalle nostre parole sui social non possono essere equiparate a quelle della stampa. Questo sebbene anche la corte ammetta che il social ha la potenzialità di diffusione superiore a quella di una semplice testata giornalistica di paese. Resta solo da vedere se, il futuro della società preveda un 1984 orwelliano o se l’ansia del filtraggio delle notizie rimarrà questione legata esclusivamente alle elezioni.
Simona Scravaglieri