La crisi della magistratura: fine di un potere moralizzante

Leonardo Ciaccio Crisi della magistratura

“Non esistono magistrati onesti. Esistono solo magistrati non ancora intercettati”.

Con questa frase Adriano Sofri mette in risalto la crisi della magistratura. Crisi che in molti attendevano quasi con impazienza e che, in un certo senso, pare legittimare decenni di attacchi politici al potere giudiziario. La frase di Soffri è a sua volta una mezza citazione di ciò che Piercamillo Davigo affermò durante l’inchiesta Mani Pulite: “Non esistono politici innocenti, ma colpevoli su cui non sono state raccolte le prove“.





Ciò che le due frasi mettono in risalto è la convinzione che il “male“, così come il crimine, si nasconda in qualsiasi anfratto del potere. L’unica differenza tra un effettivo colpevole e un uomo incensurato, quindi, sembra essere la semplice assenza o presenza di prove fisiche incriminanti. Chi ha in mano il potere è per forza di cose un criminale. Dobbiamo solo decidere come e quando siamo intenzionati a saperlo.

Con le inchieste sulla magistratura si apre quindi un nuovo scenario. Tutti gli attacchi che le forze politiche, da Berlusconi in poi, hanno spesso portato contro i giudici, ora, potrebbero trovare una qualche legittimazione. Ecco quindi che l’ultimo potere statale, quello giudiziario, rimasto per molto tempo, in un certo senso, incensurato, viene travolto da un’indagine per corruzione che ne mina completamente la credibilità.

La disarticolazione dei poteri

Non è certo la prima volta che la magistratura viene scossa da scandali e inchieste. Questa volta, però, sembra che ci sia qualcosa di diverso. Qualcosa di peggiore: lo stato non è in grado e non è nemmeno intenzionato a proteggerla. Potremmo infatti azzardare che la crisi della magistratura altro non sia se non la chiusura, drammatica, di quel cerchio aperto nel 1992 con le inchieste che decretarono la fine di tutti i partiti storici della Prima Repubblica. A seguito di Mani Pulite, infatti, il parlamento si trovò relegato in un’area marginale del potere proprio come, probabilmente, rischia di succedere ora con la magistratura. L’unica cosa che ci resta sembra essere il governo col suo potere esecutivo.





A livello politico l’inchiesta Mani Pulite causò ciò che spesso prende il nome di “presidenzializzazione della democrazia parlamentare“. A seguito dell’inchiesta, la Camera e il Senato, centrali nel corso della prima repubblica, divennero dei soggetti marginali. L’esecutivo, intanto, acquistava parte delle loro funzioni. Il primo passo in questa direzione venne compiuto da Silvio Berlusconi, che consegnò il fantasma della “legittimazione popolare” in mano al potere esecutivo, strappandolo al parlamento che, è bene ricordarlo, è l’unico organo di governo, sulla carta costituzionale, a rappresentare effettivamente la popolazione. Berlusconi stabilì un rapporto diretto di fiducia tra popolo e governo, indebolendo sempre più i collegamenti, logici ed evidenti, tra quello stesso popolo e i parlamentari eletti.

La fine del potere legislativo

Con un parlamento sempre più debole e delegittimato, il potere legislativo finì per cambiare natura. Il governo assunse prontamente parte di questo potere, con un sempre più massiccio utilizzo dei decreti. Ma non solo. Anche la magistratura, involontariamente, finì per acquisirne una parte. Essa divenne una sorta di legislatore indiretto, con il compito di riempire i vuoti legislativi tramite il suo potere d’interpretazione. Grazie a questo la magistratura, agli occhi del popolo, divenne una sorta di potere moralizzatore con il compito di giudicare, nell’apparato legislativo, il bene e il male. Il giusto e lo sbagliato. Questo spiega in maniera molto semplice i costanti sconti e le costanti accuse che, dai primi governi Berlusconi, hanno coinvolto l’esecutivo e la magistratura.

Attualmente, però, anche l’esecutivo sembra aver perso il suo ruolo effettivo. Il consiglio dei ministri si riunisce sempre più raramente e con risultati, il più delle volte, deludenti. A farla da padroni sono infatti i leader carismatici. Leader che hanno nuovamente impugnato lo spettro della legittimazione popolare per strapparlo all’esecutivo in favore delle singole persone. Berlusconi, Renzi, Di Maio e Salvini sono i principali rappresentanti di questo processo. Non soddisfatti di un potere esecutivo fortemente legato alla legittimazione popolare hanno scelto di rendersi, a loro volta, una sorta di condensato umano della volontà del popolo. Il tragico risultato è che, spesso, l’effettivo potere esecutivo si ritrova nelle mani di singole persone invocate a gran voce dalla folla.

La crisi della magistratura

La crisi della magistratura, in queste ultime settimane, rischia di travolgere anche quest’ultimo potere sopravvissuto. La popolazione, già da tempo, non avverte più la funzione moralizzante dei giudici, ma c’è altro. Scoprendo degli interessi partigiani in seno alla magistratura, che prima erano solo urlati come accuse di piazza da campagna elettorale, la crisi rischia di determinare un effettivo scollamento tra la fiducia del popolo e l’operato dei giudici. Ovviamente è impossibile sapere quanto e quando sarà attuato un simile processo ma, sicuramente, se dovesse succedere, ci resterebbe solo un soggetto che il popolo sarebbe disposto a investire con la sua legittimazione: il già citato leader carismatico. Senza parlamento, senza un governo a meno che esso non sia composto da suoi leccapiedi e, soprattutto, senza una magistratura in grado di arginarne le possibili derive.

 

Andrea Pezzotta

 

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