La crescita demografica dell’India – che in base alle stime delle Nazioni Unite potrebbe raggiungere quota 1,7 miliardi di persone nel 2063 – promette di modificare gli equilibri geopolitici in Asia. Ma la gestione ottimale del dividendo demografico richiederà una pianificazione politica adeguata che Dehli sembra non possedere ancora.
I dati della crescita demografica dell’India
Secondo un recente studio dell’Onu pubblicato lo scorso 24 aprile la crescita demografica dell’India avrebbe permesso al gigante del continente sub-indiano di superare la Cina strappando a Pechino il primato di nazione più popolosa del mondo. Sebbene il soprasso non sia ancora avvenuto, le statistiche lasciano presagire che il traguardo potrebbe essere raggiunto a breve.
L’ultimo rapporto State of World Population del Fondo delle Nazioni Unite (UNFPA) ha calcolato infatti che le proiezioni dovrebbero concretizzarsi comunque entro la prima metà del 2023 quando la popolazione indiana raggiungerà i 1,4286 miliardi di abitanti.
Ovviamente, queste sono soltanto stime che tengono conto di indicatori piuttosto diversi tra di loro (come il tasso di fertilità, l’organizzazione sanitaria, il tasso di natalità e di mortalità, la speranza di vita alla nascita, il saldo migratorio, ecc.) e che nel caso specifico della crescita demografica dell’India non possono contare su dati recentemente aggiornati come quelli raccolti nei censimenti della popolazione.
In India, dal 1881 i censimenti della popolazione vengono condotti ogni dieci anni ma a causa della pandemia quello previsto per il 2021 è stato rinviato una prima volta al 2022 e poi posticipato definitivamente al 2024. Questo significa che gli ultimi dati ufficiali sulla popolazione indiana risalgono al 2011.
Tuttavia, ad un livello più generale, le statistiche mostrano come la crescita demografica sul pianeta viaggi ormai seguendo due velocità diverse. In India il 52% della popolazione ha un’età inferiore ai trent’anni e secondo le stime delle Nazioni Unite il trend potrebbe crescere ulteriormente nei prossimi decenni mentre le previsioni Eurostat prevedono che l’età media della popolazione dell’UE aumenterà di 5,8 anni entro il 2100.
Nei prossimi trent’anni tra gli otto Paesi che cresceranno di più dal punto di vista demografico non ci sarà nessuna nazione europea ma soltanto Paesi africani (Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Tanzania, Nigeria ed Egitto) e asiatici (India, Filippine e Pakistan).
La crescita demografica indiana e la frenata cinese
Secondo i dati diffusi dal National Bureau of Statistics di Pechino, alla fine del 2022 la popolazione nazionale cinese (esclusi i residenti di Hong Kong, Macao e Taiwan) ammontava a 1.411.000.075 abitanti. Per la prima volta dalla grande carestia del 1959-1961 causata dalle disastrose politiche economiche di Mao Tse-tung, il Dragone ha registrato un calo demografico di 850mila unità rispetto alla fine del 2021.
Un dato significativo è rappresentato dal calo delle nascite che nel corso del 2022 si è attestato intorno a quota 9,56 milioni, a fronte delle morti che sono state 10,41 (nel 2021 erano, rispettivamente 10,62 e 10,14) mentre il numero di nuovi nati ogni mille persone è sceso da 7,52 nel 2021 a 6,77 nel 2022.
Già nel 2016 il governo cinese aveva allentato la stretta sulla politica del figlio unico dopo oltre tre decenni, per cercare di far fronte all’invecchiamento della popolazione e al calo delle nascite permettendo alle famiglie di avere un secondo figlio. Nel 2021, a distanza di cinque anni, l’ufficio politico del partito comunista guidato dal presidente Xi Jinping è intervenuto di nuovo per arginare il problema della stagnazione demografica – acuita anche dalla pandemia da covid19 – autorizzando le coppie ad avere fino a figli.
Da cinque anni a questa parte, sul piano demografico Pechino sta seguendo le orme di altri Paesi dell’Asia orientale come il Giappone e la Corea del Sud nei quali l’aspettativa di vita è diventata molto più lunga a fronte di un crollo generale delle nascite. I dati diffusi dal National Statistics Bureau vanno proprio in questa direzione mostrando come la percentuale di persone in età lavorativa (che in Cina comprende una fascia d’età che va dai 16 ai 59 anni) sia già calata dell’8% rispetto a un decennio fa, attestandosi sul 62% alla fine del 2022.
Nel prossimo futuro anche la Cina potrebbe far fronte a mercati del lavoro più rigidi proprio come sta accadendo da diversi anni a molti Paesi dell’Europa occidentale. Se ciò dovesse accadere, molte risorse impiegate fino a questo momento per alimentare la competizione a distanza con Washington potrebbero essere ridistribuite verso programmi di finanza pubblica come quelli per l’assistenza sanitaria e la gestione del sistema pensionistico nazionale, peraltro già sotto finanziato.
Sfide e problemi della crescita demografica indiana
In molti Paesi dell’Europa occidentale così come in Giappone – e qualche anno anche in Cina – il miglioramento delle aspettative di vita e il mancato ricambio generazionale stanno determinando una forte pressione sui programmi di finanza pubblica.
L’India, invece, può contare su una percentuale molto alta di persone in età lavorativa al di sotto dei trent’anni – il 52% – in grado di garantire un ampliamento progressivo della classe consumistica grazie alle abitudini incentrate sulla realizzazione di progetti di vita professionali e affettivi che determinano la fruizione costante di beni e servizi per sé e i propri figli.
Facendo un raffronto con la Cina, secondo stime delle Nazioni Unite nel 2100 la popolazione dell’India potrebbe addirittura doppiare quella cinese. Tale rapporto si rifletterebbe anche sul sistema delle pensioni che per Delhi peserebbero per il 4% del Prodotto interno lordo (Pil) mentre per Pechino il 20%.
In questo momento storico, l’India si trova nel mezzo del suo dividendo demografico (il potenziale di crescita economica derivante dai cambiamenti per età nella struttura della popolazione) mentre la Cina ha superato questa fase nel 2010, quando il tasso di dipendenza (il numero di persone dipendenti da quelle in età lavorativa) è aumentato in relazione al prolungamento delle aspettative di vita.
Tuttavia, è bene tener presente che il dividendo demografico di un Paese per essere realmente efficace nel lungo periodo deve essere supportato da una struttura economica e sociale adeguata alle esigenze della popolazione.
La crescita demografica dell’India rischia, invece, di tradursi in una crescita senza lavoro come spiega Irfa Nooruddin, Senior director al South Asia Center dell’Atlantic Council e docente alla Georgetown University. Nooruddin osserva infatti che – diversamente da quanto è accaduto per altri Paesi del mondo in cui la crescita demografica è stata spesso una conseguenza diretta della loro industrializzazione – l’India, ha saltato la fase della rivoluzione industriale di massa.
In sostanza, la crescita della popolazione indiana si è affidata a un settore specifico dei servizi, quello delle tecnologie dell’informazione. Ciò significa che, mentre la Cina si è andata affermando come fabbrica dell’economia globale, l’India è diventata il centro di elaborazione delle attività di back-office connesse all’industria cinese ed Europea.
Questo atteggiamento estremamente selettivo da un lato ha creato una robusta classe media di professionisti impiegati nel settore delle nuove tecnologie ma dall’altro ha ridotto al minimo le aspettative lavorative di tanti altri giovani poco qualificati e costretti a contendersi le scarse posizioni disponibili sul mercato.
Una delle cause principali che hanno provocato l’asimmetria nel mercato del lavoro indiano è quindi sicuramente riconducibile alle scelte fallimentari effettuate dal governo sul sistema scolastico. La settorializzazione dell’istruzione superiore ha creato all’ interno della società indiana dei livelli di competenze speciali accessibili soltanto ad una parte della popolazione in età scolare.
Alla pianificazione diseguale dell’istruzione scolastica si è aggiunto poi l’atteggiamento di chiusura di Dehli verso gli investimenti stranieri, in favore di zone economiche speciali create per migliorare l’economia nazionale ma ancora poco sviluppati per poter diventare elementi trainanti nei rispettivi settori di produzione.
Un’ultima osservazione riguarda, infine, la questione politica. L’India oltre ad essere un Paese con una popolazione enorme è anche una democrazia fondata sul consenso, quale elemento propulsivo di crescita, a differenza di quanto avviene a Pechino per esempio.
Una delle caratteristiche dei Paesi democratici è rappresentata dal fatto che il dividendo demografico è posto sempre in relazione con la tutela dei diritti sociali e civili. In tal senso, la crescita demografica potrà rappresentare un’occasione importante per l’India soltanto se verrà attuata una pianificazione politica e culturale in grado di esaltare al meglio le energie della popolazione più giovane che è anche quella che ha più fame di diritti e libertà.
Negli ultimi anni, però, la compromissione di molti processi democratici messa in atto dal governo Modi, insieme alla sistematica persecuzione di alcune minoranze etniche -specialmente i musulmani – ha agito in direzione opposta, costituendosi come un elemento di forte disturbo – per non dire di generale destabilizzazione – nel consolidamento delle potenzialità del dividendo demografico che rischia di trasformarsi una vera e propria mina vagante pronta a esplodere in qualsiasi momento.
Tommaso Di Caprio