La psicanalisi: le sue scoperte e il “Continente nero”
Nel XX secolo la nascita della psicanalisi ha stravolto il modo di intendere la mente umana, operando una vera e propria rivoluzione in tutte le discipline, soprattutto in quelle umanistiche. In particolar modo, è stato il concetto di inconscio elaborato da Freud a scuotere le fondamenta del sapere. L’essere umano – fino ad allora inteso come un essere unico, perfettamente coincidente con la sua razionalità e la sua coscienza – era in realtà sconosciuto a se stesso. Pertanto, abbiamo assistito a una proliferazione di discorsi attorno a questa tematica, che tuttavia è a lungo rimasta ancorata a una visione limitata al maschile. Ci sono voluti anni prima che iniziassero ad emergere voci che indagassero il peso dell’inconscio per quel “Continente nero” (come definito da Freud) della psicanalisi: la donna, evidenziando la creatività dell’inconscio femminile.
Infatti, quando parliamo di inconscio dobbiamo tenere presente che la sua natura è proprio quella di sfuggire costantemente alla coscienza. La sua libertà è data dall’impossibilità di una definizione. Quindi, esso sembra più un termine ombrello per racchiudere tutti quei moti o pulsioni che ci influenzano e di cui non siamo consapevoli. Da qui si può ben comprendere come ogni autore abbia una propria concezione di inconscio, a seconda di ciò che considera più rilevante.
Ad esempio, come tutti sanno Freud ha individuato nella sessualità la via maestra attraverso cui queste pulsioni incanalano la loro intensità; mentre Carl Jung preferì ricorrere a una concezione più generale, traducendo queste influenze in forze che indirizzavano o paralizzavano la nostra libido, a seconda dell’armonia con la coscienza.
Eppure in tutti questi discorsi gli autori mettevano in evidenza una difficoltà di fondo nell’estendere le loro teorie anche alla metà femminile del genere umano. Infatti, l’unico modo per studiare l’inconscio è attraverso le relazioni che esso tesse con la coscienza. Ciò determina il nostro modo di relazionarci al mondo, alla società e con noi stessi. Una visione sintomatica attraverso cui trarre lezioni e conclusioni su quel nero oceano che si agita oltre lo sguardo cosciente.
Ma quando si cercava di estendere le considerazioni e i risultati anche alle pazienti, ecco che queste rivelavano resistenze e complessi differenti che richiedevano un lavoro molto più faticoso e incerto. Sebbene gli psicanalisti ribadissero l’importanza di un approccio individuale, che tenesse conto delle specificità di ciascun caso, si trattava pur sempre di un’individualità basata sul maschile.
Le donne erano scintille che nella danza nevrotica mettevano a fuoco l’apparato teorico e pratico degli studiosi. Che fosse per motivi biologici o culturali, esse erano testimoni di un modo di vivere e relazionarsi differente. Più turbato senza dubbio, in quanto costretto a nascondersi e confinarsi dietro l’immagine del polo negativo e inferiore, ma allo stesso tempo più ricco, proprio perché depositario di possibilità alternative su cui costruire se stesse e la società.
Lou Andreas-Salomé e l’apertura verso la creatività dell’inconscio femminile
Nel fermento culturale dell’epoca, tra difensori della psicanalisi e oppositori, si distinse una voce femminile: quella di Lou Andreas-Salomé. Una figura interessante sotto ogni punto di vista, che ha stretto forti legami con alcune tra le menti più illustri di quel secolo. Friedrich Nietzsche, Paul Rée, Reiner Maria Rilke sono solo alcuni tra i nomi che figurano nei suoi carteggi.
Nel 1911 conobbe Freud, con cui strinse un’amicizia molto importante che le aprì le porte della psicoanalisi. Il loro fu un rapporto prolifico, e le permise di approfondire e sviluppare le sue riflessioni sulla figura femminile, specialmente dal punto di vista erotico. Se l’uomo è ragione, concetto astratto che vorrebbe strappare il suo legame corporeo, la donna si radica nel corpo e ne fa strumento di conoscenza.
Così, nelle dicotomie conscio-inconscio, ragione-corporeo, uomo-donna, i secondi termini sono risignificati. Non rappresentano più il polo negativo, come vorrebbe la narrazione fallocentrica, bensì sono i segni di una nuova profondità, misteriosa, mutevole, indefinibile dal linguaggio razionale. Proprio come l’inconscio.
Se Freud indaga la sessualità e la regione dell’inconscio per restituire padronanza all’Io «in casa sua» – quindi dominando queste energie – Andreas-Salomé lo fa per giungere a una confluenza di mente e corpo, coscienza e inconscio. Il fine di questo processo è l’individuo, l’essere umano compiuto, fedele a se stesso e al suo destino. Così “si diventa ciò che si è”, potremmo dire utilizzando le parole di un suo caro amico.
Abbracciare la propria carnalità favorisce la liberazione di energie psichiche, aiuta a esplorare le emozioni e in tal modo ha luogo il processo creativo. Per Andreas-Salomé gli artisti e le donne sono gli spiriti più affini a queste esperienze procreative. Dunque, sul terreno della psicanalisi si opera una vera e propria rivoluzione, una risignificazione che sfida i ruoli di genere e avvia l’esplorazione dell’universo femminile attraverso un linguaggio innovativo, incomprensibile alle prospettive logocentriche.
La creatività dell’inconscio femminile in Francia
Purtroppo, Lou Andreas-Salomé non ha ottenuto il riconoscimento che avrebbe meritato, ma le sue riflessioni sulla creatività dell’inconscio femminile hanno comunque trovato seguito nei movimenti femministi degli anni Settanta. In Francia la psicoanalisi lacaniana ha infatti creato il clima adatto per la nascita di pratiche trasformative basate proprio sulla riscoperta della zona oscura dell’inconscio. Il gruppo “Psych et po” (Psychanalyse et politique) riunì le principali esponenti di questa corrente.
Antoinette Fouque, Jules Kristeva, Luce Irigaray, Hélène Cixous indagarono attraverso il vissuto corporeo e la riflessione linguistica cosa si nascondeva dietro la maschera della rigida coscienza patriarcale. Le scoperte portarono a una riconfigurazione dei rapporti tra donne, e delle donne con se stesse.
I loro studi avevano un approccio in primo luogo empirico. Si partiva dall’esperienza, dalla propria esperienza, e poi la si impiegava per una risignificazione simbolica. In tal modo, si diventava allo stesso tempo soggetto e oggetto dell’indagine, rompendo con l’epistemologia vigente che sanciva una netta separazione tra i termini. La dimensione inconscia ci apre all’Altro-io che è in noi, o meglio, ci ricongiunge.
La componente linguistica era molto importante nella riflessione. Infatti, il mondo (anche quello interiore) è fatto di simboli e parole. Nominarlo nella maniera adeguata plasma le nostre azioni. Questi simboli derivano direttamente dal nostro vissuto, ed è per questo che ognuna ha elaborato una prospettiva particolare. Antoinette Fouque, ad esempio, ha dato centralità al rapporto madre-figlia, in quanto è la prima forma di relazione che instauriamo quando veniamo al mondo.
Inoltre, in aperto contrasto ai movimenti femministi dell’epoca, ha risignificato la maternità, vedendola non come una prigione per le donne, bensì come una possibilità di liberazione di nuovi significati, sottolineando la sua etica “generatrice”. In tal senso, l’inconscio rappresenta proprio questa «dimensione uterina», nucleo della libido femminile, differente da quella maschile teorizzata da Freud. Questo tipo di inconscio struttura un pensiero costantemente aperto all’altro proprio in virtù della sua capacità procreativa.
Al contrario, Luce Irigaray si mostrò sempre critica verso queste prospettive, intravedendo il rischio di un appiattimento alla dimensione biologica (che tuttavia Fouque fu attenta a evitare). Pur muovendo nella stessa direzione di una risignificazione simbolica, Irigaray si concentra sulle implicazioni che l’esistenza dell’inconscio porta con sé: il fatto che le certezze siano in realtà interpretazioni; e la capacità del corpo di tenere traccia di ricordi che la nostra coscienza dimentica.
La riscoperta di questa “memoria carnale” e la messa in discussione del linguaggio corrente dischiude la possibilità della donna di riscoprire quelle parti di sé mutilate dalla società patriarcale, ma la cui ricchezza è ancora conservata.
La pratica dell’inconscio italiana
Il femminismo italiano ha articolato esplicitamente ciò che definisce una pratica dell’inconscio, all’interno di gruppi come quello milanese di Sottosopra. Riprendendo in parte la lezione francese, si riflette sulla dimensione corporea, sul vissuto delle donne. Si comunicano esperienze e queste diventano leve per il cambiamento e la trasformazione sociale.
Tuttavia, il movimento italiano presenta ovviamente delle specificità rispetto a quello francese. Basti pensare a come Lia Cigarini faccia tesoro delle riflessioni di Fouque, ma dandole un’impronta radicalmente politica, intendendo questa sorta di “inconscio materno” su un piano molto più simbolico.
L’inconscio diventa sempre più simile alla forza desiderante, ossia ciò che spinge le nostre azioni, e la pratica dell’inconscio diventa pratica di desiderio: elaborazione di un orizzonte comune verso cui muoverci. Sebbene in Italia il termine “inconscio” sia scemato sempre più nei movimenti femministi, la funzione liberatrice della psicoanalisi rimane cruciale nelle riflessioni di filosofe come Chiara Zamboni e della comunità di Diotima.
La nostra società urge una trasformazione, ma il primo passo per operare il cambiamento è scoprire tutto ciò che la cultura patriarcale ha nascosto e condannato al silenzio, dandogli voce attraverso un linguaggio strutturato su canali differenti da quelli tradizionali.