Israele al banco degli imputati per crimini di guerra, lo ha stabilito la Corte Penale Internazionale

territori palestinesi occupati

IDF Artillery Corps in Gaza, flickr.com

Lo scorso 5 febbraio, con una sentenza storica, la Corte Penale Internazionale ha stabilito la sua giurisdizione sui territori palestinesi occupati dal 1967. La decisione, applaudita dalla Palestina e da organizzazioni quali Human Rights Watch e Amnesty International, ha scatenato l’ira di Netanyahu.



La Corte Penale Internazionale ha giurisdizione sui territori palestinesi occupati

Sei anni fa il procuratore capo della CPI, Fatou Bensouda, aveva aperto un’indagine preliminare sulla situazione palestinese, concludendo che l’evidenza dei gravi crimini commessi e il clima di impunità costituiscono “basi ragionevoli” per procedere con un’indagine formale. Più di un anno fa Bensouda si era rivolta ai giudici affinché confermassero la sua giurisdizione sull’area.

Ora, con la sentenza di venerdì, la corte dell’Aia riconosce la Palestina e i territori palestinesi occupati come Stato ai fini dell’esercizio della giurisdizione della Corte Penale Internazionale. Si noti a questo proposito che la Palestina aveva ratificato il trattato istitutivo della Corte, lo Statuto di Roma, nel 2015. Israele invece non fa parte degli stati membri, e nemmeno gli Stati Uniti.

L’inchiesta per crimini di guerra nei territori palestinesi occupati

La decisione apre la strada a un’inchiesta sui presunti crimini di guerra e le gravi atrocità commesse nei territori occupati.

Sotto accusa l’uso sproporzionato della forza militare israeliana durante i 50 giorni di bombardamenti lungo la Striscia di Gaza nell’estate 2014. La cosiddetta Operazione Margine di Protezione ha provocato la morte di oltre 2.200 palestinesi, di cui più del 70% civili: uomini, donne, bambini morti sotto le bombe del popolo eletto da Dio.

Anche la sistematica costruzione di insediamenti israeliani nei territori palestinesi occupati costituisce una grave violazione del diritto internazionale umanitario. Israele, potenza occupante secondo l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, viola sistematicamente il diritto internazionale e la convenzione di Ginevra per espandere i suoi insediamenti, con il trasferimento illegale di civili. Demolizioni, deportazioni coatte, soprusi e violenze sono gli strumenti con cui il regime sionista espropria e discrimina il popolo palestinese, popolo cui una risoluzione ONU ha riconosciuto “il diritto all’autodeterminazione e all’indipendenza del proprio Stato della Palestina sul territorio palestinese occupato dal 1967”.

Al centro dell’attenzione anche la risposta letale con cui Israele ha reagito alle proteste palestinesi sulla Striscia di Gaza nel marzo 2018. Le forze armate aprirono il fuoco, colpendo “manifestanti disarmati, disabili, operatori sanitari, bambini, giornalisti”.

La procuratrice Bensouda indica inoltre gruppi armati palestinesi, quali Hamas, come possibili autori dei presunti crimini di guerra riscontrati e delle atrocità commesse nei territori presi in esame.

La Palestina applaude la sentenza della Corte Penale Internazionale

Finalmente Israele potrebbe finire sul banco degli imputati, e l’indagine potrebbe porre fine a oltre 50 anni di violenze e attacchi ai danni di civili. L’annuncio di venerdì scorso è stato accolto da più parti come una vittoria. Il Ministro degli Esteri palestinese ha affermato che si tratta di “una giornata storica per il principio di responsabilità”.

Il Ministro degli Affari civili dell’Autorità palestinese ha accolto la sentenza come “una vittoria per la verità”.  Anche Human Rights Watch ha dimostrato il proprio sostegno alla decisione della Corte che, nelle parole di Balkees Jarrah, “offre finalmente speranza alle vittime di gravi crimini di guerra dopo mezzo secolo di impunità”. Il vicedirettore regionale di Amnesty International per il Medio Oriente e il Nord Africa, Saleh Higazi, vede nell’indagine della Corte dell’Aja “l’opportunità di porre fine al ciclo di impunità che è al centro della crisi dei diritti umani nei territori occupati”.

L’opposizione degli Stati Uniti

Ma non è corale il plauso riscosso dalla posizione assunta dalla CPI. Negli Stati Uniti il portavoce del Dipartimento di Stato, Ned Price, ha dichiarato che “gli Stati Uniti si oppongono alla decisione della Corte” e che continueranno “a sostenere l’impegno del presidente Biden nei confronti di Israele e della sua sicurezza”. D’altronde quella tra gli USA e la Corte Penale Internazionale non è una relazione facile. Nel settembre 2020, dopo una serie di pressioni, l’amministrazione Trump aveva imposto sanzioni ai funzionari della Corte, tra questi la stessa Bensouda. Inoltre il governo dell’ex Presidente aveva fortemente ostacolato le indagini dell’Aja in Afghanistan e in Palestina.

L’ira di Netanyahu

La decisione della Corte Penale Internazionale ha scatenato l’ira del Primo Ministro israeliano. Benjamin Netanyahu ha emanato un video delirante nel quale con toni aspri e violenti ha dichiarato la sua intenzione di battersi contro “questa perversione di giustizia con tutta la nostra forza”. Con un perverso ricatto morale ha accusato la corte di antisemitismo e di violare il diritto dei Paesi democratici di difendersi dal terrorismo. Secondo il capo del regime sionista quello della Corte Penale Internazionale è un deliberato attacco a “Israele, un paese con un forte governo democratico che santifica lo stato di diritto”.

Qualcuno dovrebbe forse ricordare a Netanyahu che distruggere le case dei palestinesi con i bulldozer è terrorismo; che sparare sui bambini e sugli invalidi è terrorismo; che lanciare le sue bombe sugli ospedali e sulle scuole palestinesi è terrorismo. Che se le strade di Gaza sono piene persone mutilate è per colpa di quel suo “santificare lo stato di diritto” di cui tanto si riempie la bocca. Perché non basta avvisare prima di sferrare un attacco per pulirsi la coscienza. Perché non è vero che Israele ha mostrato “moderazione e autocontrollo” e per questo “merita di essere plaudita e portata ad esempio”. Netanyahu sta calpestando i diritti del popolo palestinese, portando avanti un progetto di segregazione razziale e pulizia etnica. E forse ora il suo Paese, che occupa indebitamente una terra che non gli appartiene, potrebbe finire sul banco degli imputati.

Camilla Aldini

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