Cos’è la coscienza e dove risiede fisicamente? Esiste una parte del nostro cervello adibita al controllo della coscienza?
Fin dagli albori del pensiero umano, l’origine della coscienza ha occupato uno spazio preminente nelle numerose domande esistenziali poste dall’uomo alla sua natura. Cartesio, per esempio, credeva che la mente (res extensa) e il corpo (res cogitans) fossero separate, sebbene in comunicazione attraverso la ghiandola pineale (odierna epifisi), ove risiedeva l’anima della persona.
Il dualismo cartesiano, ovvero la separazione tra la mente e il corpo, è stato per secoli il modello di riferimento per una visione sull’uomo. Per primo fu Freud che dimostrò l’esistenza di disturbi psicosomatici, in cui la mente influenzava il corpo e viceversa. Disturbi in cui non si riusciva a discernere la mente dal corpo. Piano piano, la visione insiemistica dell’uomo (mente e corpo, due facce della stessa medaglia) ha sostituito l’obsoleto dualismo cartesiano. Sebbene, in realtà, qualche forma di dualismo cartesiano sia ancora presente in alcuni strati della popolazione.
Della coscienza si può dire quello che diceva Sant’Agostino sul tempo: “se nessuno me lo chiede, so cos’è, ma se qualcuno me lo chiedesse non saprei come rispondere”.
Per secoli, la filosofia si è arrovellata sulla natura della coscienza con i soli strumenti del pensiero. Da quando però l’uomo ha sviluppato il metodo scientifico, questa domanda ha subito una ghettizzazione nell’esoterismo spirituale. La scienza ha finito per abbandonare la ricerca dei fondamenti biologici dell’anima, che pure esiste nell’uomo.
Fino alla nascita della psicanalisi, l’uomo credeva di essere il prodotto della sola coscienza: cogito ergo sum. Penso, quindi sono. Freud ebbe il merito di dimostrare l’esistenza dell’inconscio. Non siamo soltanto ciò che pensiamo, anzi i nostri pensieri sono solo la punta di un iceberg molto più grande.
Nonostante la rilevanza esistenziale, pochi sono gli scienziati che si sono interrogati sul dilemma dell’inconscio, preferendo concentrare i propri sforzi su ciò che è manifesto. Quindi, il comportamento e la coscienza.
Il matematico e fisico Roger Penrose attribuisce il funzionamento della coscienza a un salto quantico dei neuroni, legato alle leggi dell’infinitamente piccolo (fisica quantistica). Proprio perché l’uomo è essere vivente in questa realtà, anche la sua natura animica deve necessariamente sottendere alle leggi della fisica che regola il nostro universo. Esiste una parte spirituale dell’uomo, come sosteneva Jung, ma pure una corporea e tangibile.
Una ricerca internazionale getterà luce sui meccanismi neuroscientifici della coscienza.
Con lo scopo di dipanare la matassa della coscienza, ha preso il via in questi giorni un progetto di ricerca internazionale, finanziato con venti milioni di dollari e guidato dall’italiana Lucia Melloni del Max Planck Institute di Francoforte.
La ricerca è concepita nel più puro scientismo dei nostri tempi: le ipotesi teoriche verranno messe alla prova mediante test sperimentali e quelle che non si conformeranno ai risultati saranno scartate. In particolare, i test sui volontari consisteranno nella registrazione di immagini cerebrali attraverso sofisticate tecniche, quali la risonanza magnetica funzionale e l’elettrocorticografia.
Nello studio, saranno prese in esame due teorie sulla coscienza.
Secondo la teoria di Dehaene, sarebbe la corteccia prefrontale a raccogliere le informazioni sensoriali, organizzandole secondo una scala di priorità, prima di trasmetterle alle aree cerebrali esecutive. In base a questa ipotesi, la coscienza consisterebbe proprio in questo processo di selezione. Secondo Dehaene è come se la coscienza fosse una sorta di interruttore dell’attenzione.
Stando all’ipotesi di Tononi, invece, la coscienza sarebbe il risultato delle numerosissime connessioni cerebrali in un rapporto diretto: più numerosi sono i neuroni che interagiscono tra loro, maggiore sarebbe il senso di coscienza percepito. La coscienza, secondo quest’ipotesi, avverrebbe anche senza il bisogno di input sensoriali. Quest’ultimo aspetto potrebbe anche spiegare la peculiarità umana del pensiero astratto, totalmente originato in assenza di stimoli sensoriali. Secondo lo studioso italiano, che lavora negli Stati Uniti, il processo di coscienza avverrebbe nella corteccia occipitale del cervello.
Con le dovute differenze, queste due visioni hanno un punto in comune: considerano la coscienza un epifenomeno, quasi un effetto collaterale dei processi e dei circuiti cerebrali.
Risulta quindi evidente, che questo studio internazionale prenderà in esame soltanto i meccanismi neurobiologici dell’attività conscia dell’uomo, escludendo la ricerca della chiave inconscia.
Una logica utilitaristica dietro lo studio della coscienza.
Una delle principali questioni che preme agli scienziati di essere risolta è se la coscienza sia riproducibile in un computer o se origini da caratteristiche intrinseche del cervello umano.
Ecco che allora i venti milioni di dollari stanziati come finanziamento si spiegano nell’ottica utilitaristica con cui le politiche percepiscono la scienza. La risposta ultima che vuole ottenere la scienza è capire se la coscienza umana è riproducibile in computer quantistici come sostiene Penrose.
Se così fosse, i risvolti sociali, culturali, ma soprattutto esistenziali, sarebbero tragici. Nel pieno stile Black Mirror, le persone – o meglio le loro coscienze – potrebbero essere trasferite in un computer quantistico ed ottenere in questo modo la vita eterna…almeno finchè il computer sarà alimentato.
Axel Sintoni