La cortina di ghiaccio che separa il popolo Inuit

Nelle punte più remote del mondo, sulle sponde dello Stretto di Bering, dove U.S.A. e Russia arrivano quasi a toccarsi, vive il popolo Inuit. La Guerra Fredda ha reso questo tratto di mare invalicabile, lacerando fino ad oggi un’intera popolazione.

Meno di 90 chilometri separano gli Stati Uniti con la loro punta estrema occidentale (lo Stato dell’Alaska) e la Russia post-sovietica. Siamo sullo stretto di Bering, uno degli angoli più reconditi del mondo. Per migliaia di anni il popolo Inuit (in lingua inuktitut “uomini”) si è spostato liberamente tra gli Stati Uniti e la Russia: le famiglie vivevano su entrambe le sponde del mare e le visite erano frequenti. Gli Inuit si consideravano un unico popolo.

La prima linea di confine fece ufficialmente la sua comparsa nel 1867, quando l’America comprò l’Alaska dalla Russia zarista. Tuttavia, all’epoca nessuno vi prestò grande attenzione. Le famiglie continuarono a vivere su entrambe le sponde, attraversando liberamente lo Stretto, fino a quando, nel 1948, il confine venne improvvisamente sigillato. La Guerra Fredda era riuscita a dividere anche il popolo Inuit.




La cortina di ghiaccio

Popolo Inuit
Mappa dello Stretto di Bering.

Con l’inizio della Guerra Fredda e il rapido crescere delle tensioni tra i due schieramenti, i confini furono sigillati.  Lo stretto di Bering, divenuto improvvisamente insormontabile, si trasformò così in una cortina di ghiaccio, lacerando molte famiglie Inuit. Un reportage di Damiene Fleurette riporta le voci di numerosi nativi, a cui, a distanza di quasi settant’anni, è ancora proibito attraversare il confine:

All’epoca, quando si catturava un balena si chiamavano gli amici e parenti in Russia e si faceva festa tutti assieme. Erano liberi. Adesso non lo siamo più.

o ancora:

Non dovrebbe essere così. Siamo qui da migliaia di anni, prima che gli Inglesi, gli Americani o i Russi arrivassero, prima di tutti queste regole e governi che ci hanno separato dalle nostre famiglie. Questo confine ci sta lacerando il cuore.

Gli Inuit residenti nello Stretto di Bering si sentono tutt’ora parte di un unico popolo, ma, per incontrarsi , devono letteralmente fare il giro del mondo. Sebbene con la presidenza di Reagan si fosse per un attimo aperto uno spiraglio alla possibilità di riaprire il confine, il progressivo deteriorarsi delle relazioni  tra U.S.A. e Russia ha congelato nuovamente la cortina. Per quanto le azioni militari offensive siano temporaneamente sospese, il rischio che l’atmosfera si scaldi è concreto.

Secondo le ricerche geologiche portate avanti dagli Stati Uniti, infatti, l’Artico racchiude in sé circa il 13% delle riserve mondiali di petrolio, e il 30% di  gas naturale.  Non è difficile immaginare l’effetto che la corsa alle risorse potrebbe avere su un equilibrio di confine tanto delicato. Lo Stretto, pertanto, rimane chiuso, e il popolo Inuit continua a vivere su entrambe le sponde del mare di Bering, in due mondi separati.

Inuit: un popolo lacerato

Questa linea immaginaria ha diviso per sempre molte famiglie, logorando irreversibilmente i loro legami.

Per noi, come per molti d’entrambi i fronti, condividere le nostre danze, storie e tradizione è molto importante per mantenere i legami familiari.

Sostiene Etta Tall, residente a Nome, in Alaska. Mentre Frances Ozenna, proveniente dall’isola Americana di Piccolo Diomede, afferma davanti alle telecamere della BBC:

Sappiamo di avere parenti sull’altra sponda. Le vecchie generazioni stanno morendo, e noi non sappiamo più nulla l’uno dell’altro. Stiamo perdendo la nostra lingua. Noi parliamo inglese adesso, mentre loro parlano russo. Non è colpa nostra. Non è colpa loro. Ma è soltanto terribile.

L’Inupiaq, quella che all’epoca era la lingua comune, è quasi estinta, rimasta in vita solo nelle canzoni.  Le famiglie non sono più in grado di comprendersi, nemmeno per telefono, e le tradizioni comuni stanno quasi per scomparire del tutto.  A ciò, si aggiungono le difficoltà che gli Inuit, sia russi che americani, devono affrontare ogni giorno.

Sulla sponda Russa: la regione dello Cukokta

In Russia, nella regione dello Cukokta, le condizioni di vita sono molto dure. Il numero di alcolizzati è statisticamente 6 volte maggiore rispetto al resto della Russia, a causa della dilagante povertà e della mancanza di prospettive. La gente vive per la maggior parte di caccia lungo la banchisa. Le motoslitte, però, non possono salire sul ghiaccio, spesso troppo sottile, e gli Inuit devono fare ancora affidamento sui metodi tradizionali, come la slitta e i cani. Solo loro hanno il permesso di cacciare le foche, ma la loro compravendita è vietata. Per sopravvivere sono così spesso costretti a vendere di contrabbando, incorrendo nel rischio di pesanti sanzioni penali.

Sulla sponda Occidentale: l’Alaska

In Alaska agli Inuit la caccia è addirittura proibita. La popolazione nativa tuttavia, orgogliosa delle proprie tradizioni, continua a cacciare quando il mare lo permette. Una forma di resistenza ai continui tentativi di assimilazione portati avanti dalle politiche statunitensi.

Nelle città che si affacciano sullo Stretto di Bering, inoltre, gli Inuit portano con sè le ferite della segregazione raziale, abolita solamente nel 1964.  Molte sono le persone ad essere cresciute nella paura. Ayya, una tassista inuit residente a Nome, conferma

Mia mamma mi raccontava tante storie nella mia infanzia, di persone che veninvano aggredite, sia uomini che donne, dagli uomini bianchi di qui. Li picchiavano, li violentavano, anche gli uomini. C’era tanto razzismo e cattiveria.

Ancora oggi, l’eredità della segregazione è tangibile. Nelle città, le zone abitate dai bianchi sono facilmente riconoscibili, per la presenza di lotti e case più grandi.  Nei quartieri Inuit invece, i lotti residenziali sono molto ridotti e mal serviti dai servizi pubblici.

Una questione aperta rimane, infine, l’espropriazione della terra, sottratta agli Inuit dalla grandi compagnie americane. Nonostane il governo federale degli Stati Uniti si sia ufficialmente impegnato a restituire la terra ai legittimi proprietari, ad oggi, le corporazioni Inuit  hanno ricevuto solo un centesiom del loro territorio. Una battaglia che rimane aperta, a cui il popolo Inuit non ha intenzione di rinunciare.

Per quanto le lotte di rivendicazioni dei propri diritti stiano iniziando a dare i loro primi frutti – per lo meno sul territorio dell’ Alaska- , la prospettiva di una riapertura del confine si allontana sempre di più. Su entrambe le sponde dello stretto di Bering, in estate splende lo stesso sole che non tramonta mai, ma la cortina di ghiaccio non accenna a sciogliersi. Un intero popolo continua a vivere lacerato in due, con gli Inuit americani così vicini ai fratelli russi, eppure, così lontani.

Eva Moriconi

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