La Corte Suprema contro i Social Network: la sentenza per il futuro della comunicazione negli Stati Uniti

È attesa per giugno la sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti chiamata ad esprimersi sulle leggi volute dai governatori repubblicani di Texas e Florida contro la moderazione dei contenuti sui Social Network.

Palazzo della Corte Suprema degli Stati Uniti

La Corte Suprema degli Stati Uniti contro le Big Tech della Silicon Valley

Oggi i Social Network rappresentano uno spazio fondamentale per il dibattito politico. Le grandi società proprietarie delle piattaforme sono dei colossi economici che stanno cercando di ritagliarsi uno spazio politico sempre più importante attraverso il filtraggio e la moderazione dei contenuti. Negli Stati Uniti la libertà di espressione è sancita e tutelata in maniera pressoché assoluta dal Primo Emendamento della Costituzione e rappresenta uno dei capisaldi “sacri” della democrazia americana. I governatori repubblicani di Florida e Texas – Ron DeSantis e Greg Abbott – si sono schierati a difesa del Primo Emendamento con la promulgazione di due leggi che hanno l’obbiettivo impedire alle piattaforme social di mettere in atto forme di censura e moderazione dei contenuti che contengono opinioni personali degli utenti.

Nessuna delle due leggi è ancora entrata in vigore in quanto il gruppo NetChoice – di cui fanno parte Amazon, Google, Meta e TikTok – ha richiesto l’intervento del massimo organo di giustizia statunitense. La sentenza della Corte potrebbe rappresentare uno spartiacque decisivo per le ormai prossime elezioni di novembre. Soprattutto dal lato repubblicano, dove vi è preoccupazione per la possibile censura delle voci conservatrici da parte delle piattaforme. Emblematico in questo senso è il caso del ban da Twitter dell’account dell’ex presidente, e ormai quasi certo sfidante di Joe Biden, Donald Trump.

La decisione della Corte apre un complesso dibattito su quello che dovrebbe essere il ruolo dei social network. Il caso vedrà la contrapposizione di due interpretazioni differenti: le Big Tech sostengono che le piattaforme debbano avere una funzione simile a quella di un giornale, con una propria politica editoriale e delle policy interne, ed essendo dei privati lo stato non può in alcun modo toccare questa libertà.

Dall’altro lato, gli stati repubblicani sostengono una visione dei social network come degli spazi aperti, delle piazze pubbliche nelle quali ognuno deve avere la libertà e la possibilità di esprimersi senza vincoli. Questa interpretazione è sostenuta anche dal proprietario di Twitter, oggi X, Elon Musk. Il miliardario sudafricano, autoproclamatosi “paladino della libertà di espressione” rappresenta forse il più importante alleato dei conservatori nella loro battaglia contro la silicon Valley e non ha mai nascosto la volontà di giocare un ruolo importante per la politica americana nonché le sue simpatie per i repubblicani.

Entrambe le visioni portate avanti dalle due parti in causa presentano elementi fuorvianti e criticità. Come fatto notare da diversi giudici ed esperti di diritto, considerare i social network al pari di testate giornalistiche è assolutamente sbagliato, in quanto queste realtà non possiedono i vincoli e le limitazioni nella pubblicazione dei giornali. Allo stesso tempo gli utenti che creano e condividono contenuti non si assumono la responsabilità di quanto pubblicato, come avviene invece per i giornalisti.

D’altro canto, l’eliminazione dei vincoli e della moderazione potrebbe rappresentare un rischio, soprattutto in un periodo in cui i social network rappresentano uno snodo centrale per la comunicazione politica dei partiti e in cui continuano ad essere molto diffusi i fenomeni legati ai discorsi d’odio, al cyberbullismo e alla disinformazione.

A partire dal 2016, la destra populista, non solo americana, è lo schieramento che ha maggiormente beneficiato delle fake news diffuse in rete per alimentare le proprie battaglie politiche, sociali e culturali (contrasto all’immigrazione e alle politiche di integrazione e inclusività, difesa dell’identità nazionale e l’opposizione al “politicamente corretto”). Non sorprende dunque che, proprio da esponenti radicali del mondo conservatore americano come Abbott e DeSantis, sia arrivata una proposta di legge del genere.

Dopo le sentenze della Corte Europea sulla questione dei dati e della privacy, quella della Corte Suprema Americana potrebbe contribuire a un ulteriore inquadramento legislativo e giuridico delle Big Tech. Definendo la natura di uno spazio sempre più importante per il dibattitto pubblico e per gli sviluppi della politica e della democrazia.

 

Alessio Ricciuto

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