Le recenti elezioni antidemocratiche in Bosnia-Erzegovina, così definite dalla Corte Europea dei Diritti Umani, sollevano interrogativi sulla validità del processo elettorale in un paese candidato all’Unione Europea. Questa sentenza mette in evidenza le sfide che il paese deve affrontare nell’assicurare una rappresentanza politica equa e non discriminatoria per tutti i suoi cittadini.
La Bosnia-Erzegovina, candidata all’Unione Europea, è stata oggetto di una recente sentenza dalla Corte Europea dei Diritti Umani, che ha sollevato dubbi sulla democrazia delle elezioni nel paese e ha evidenziato il rafforzamento delle posizioni dei gruppi etnici dominanti. La causa legale è stata portata avanti da Slaven Kovačević, un politologo e consigliere di un membro della presidenza bosniaca, che ha denunciato di non essere adeguatamente rappresentato nel sistema politico.
La Corte di Strasburgo ha dato ragione a Kovačević, definendo la Bosnia-Erzegovina, con i suoi 3,2 milioni di abitanti, una “etnocrazia” in cui la rappresentanza etnica prevale sulle considerazioni politiche, economiche e sociali nel sistema politico. Questa sentenza getta luce sul fatto che il paese, nonostante lo status di candidato all’UE ottenuto nel dicembre dell’anno precedente, deve ancora affrontare serie sfide in termini di uguaglianza e non discriminazione dei suoi cittadini.
La Costituzione del paese conferisce privilegi politici ai gruppi etnici di bosniaci, croati e serbi, noti come “popoli costituenti”. Questi gruppi sono equamente rappresentati nella Camera dei Popoli e nella presidenza tripartita. Tuttavia, coloro che non appartengono a questi gruppi non possono essere eletti in tali istituzioni, creando così un trattamento discriminatorio. Inoltre, la composizione territoriale del paese contribuisce a limitare i diritti degli elettori, con conseguenze dirette sulla rappresentatività politica.
La Commissione Europea ha risposto alla sentenza affermando che la Bosnia-Erzegovina deve attuare riforme sostanziali per garantire l’uguaglianza e la non discriminazione dei suoi cittadini, al fine di avviare i negoziati di adesione all’UE. La Corte Europea dei Diritti Umani aveva già richiamato l’attenzione sulla discriminazione nel sistema elettorale del paese nel 2012 con la sentenza sul caso Sejdić e Finci.
L’Unione Europea sta valutando i progressi dei paesi candidati nel processo di adesione, e il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha esortato all’allargamento entro il 2030. Questo evidenzia la necessità di riforme politiche significative nella Bosnia-Erzegovina al fine di garantire una democrazia effettiva e un trattamento equo per tutti i cittadini, indipendentemente dal loro gruppo etnico.