Sono mesi cruciali per i ghiacci dell’Artico, oggetto di discussione lo scorso aprile all’International Arctic Forum di San Pietroburgo e al Consiglio Artico che si sta svolgendo a Rovaniemi in questi giorni: a interessare le potenze mondiali non tanto lo scioglimento dei ghiacci, ma lo sfruttamento delle nuove rotte commerciali.
La corsa all’Artico è iniziata. Si è tenuto infatti a San Pietroburgo nell’aprile scorso l’International Arctic Forum, che ha visto coinvolti i leader di Russia, Islanda, Finlandia, Norvegia e Svezia. Durante il summit, Vladimir Putin ha esposto quelli che sono i programmi russi per sfruttare nuove rotte commerciali attraverso il Mar Glaciale Artico. Il discorso del presidente russo ha puntato in particolare sulla creazione di nuovi porti e infrastrutture per potenziare il “passaggio a nord-est”. La tratta parte infatti dal mar del Nord in Europa, raggiunge lo Stretto di Bering e si getta poi nell’Oceano Pacifico.
Non secondariamente, il controllo su un totale di oltre 7000 chilometri di costa artica consentirebbe poi ai russi un accesso privilegiato alle riserve di risorse presenti nell’area. Si tratterebbe soprattutto di gas naturale e petrolio, per un valore che si aggirerebbe attorno ai 35mila miliardi di dollari.
Parte dell’intervento di Vladimir Putin, all’International Arctic Forum di qualche settimana fa.
Botta e risposta
Il dibattito si è poi allargato durante il Consiglio Artico di questi giorni a Rovaniemi, un forum di discussione per la protezione dell’Artico tra paesi affacciati sul Mar Glaciale Artico e Stati osservatori. A rubare la scena alla questione ambientale, qui è stata sicuramente la politica economica futura. Come era stato ampiamente previsto dagli addetti ai lavori, gli Stati Uniti hanno glissato sul tema del riscaldamento globale, per evitare di parlare della mancata adesione all’accordo di Parigi sul clima. L’attenzione è stata infatti spostata sulle questioni geopolitiche e ad essere attaccata è stata in questo caso la Cina.
Il Segretario di Stato USA Mike Pompeo ha dichiarato infatti che i Paesi artici “dovranno adattarsi a un nuovo futuro, in cui la regione diventerà un’arena per la competizione tra potenze mondiali”. Ha poi continuato: “Il pericolo è che l’Artico si trasformi in un nuovo Mar Cinese Meridionale, militarizzato e sottoposto all’atteggiamento aggressivo da parte della Cina”
Un passo indietro: la rotta ritrovata
La rotta è stata scoperta nel 1553 dall’inglese Hugh Willoughby. Questi guidò una spedizione che, dopo aver avvistato l’arcipelago della Novaja Zemlja nel mar Glaciale Artico, raggiunse la Lapponia. Solo nel 1878 l’esploratore svedese Adolf Erik Nordenskjöld riuscì a fatica a percorrere il passaggio completamente: fu infatti bloccato dai ghiacci nello Stretto di Bering per ben 10 mesi, prima di raggiungere Yokohama.
Tutti coloro che, nei decenni, hanno tentato la corsa all’Artico, lo hanno potuto fare solo in una finestra di qualche mese l’anno, combattendo comunque con il pericolo degli iceberg. Il surriscaldamento degli ultimi cinquant’anni ha però ostacolato la loro formazione soprattutto tra luglio e settembre. Molte navi mercantili quindi hanno scelto la rotta per andare dalla Cina all’Europa, evitando il Canale di Suez. Il passaggio a nord-est permetterebbe infatti di ridurre i tempi di navigazione del 40% rispetto alle rotte tradizionali.
La Russia in testa
Significativi i primati che recentemente hanno interessato questa zona del mondo. Nell’agosto 2017, per la prima volta, una petroliera russa ha attraversato l’area senza l’ausilio di una nave rompighiaccio.
Se il dato ha preoccupato gli ambientalisti, non ha di certo spaventato compagnie petrolifere e commerciali, soprattutto statunitensi e cinesi. Con lo sfruttamento di questa rotta, il prof. Bin Yang, della Shanghai Maritime University, ha stimato un risparmio annuale compreso tra i 60 e i 120 miliardi di dollari, per la sola Cina. Secondo il Financial Times, le merci passate per questi mari nel 2018 sono state 18 milioni di tonnellate. L’aumento è stato del 70% rispetto all’anno precedente e Putin ha auspicato che diventino 80 milioni entro il 2024.
Gli investimenti russi rimangono al momento i più significativi per la corsa all’Artico. Attualmente è la sola nazione a possedere dei rompighiaccio a propulsione nucleare ed entro il 2035 lo stesso Putin punta ad avere 13 rompighiaccio in funzione, di cui 9 nucleari. Gli Stati Uniti rincorrono i russi e, lo scorso anno, hanno commissionato la realizzazione della prima nave rompighiaccio di grandi dimensioni dopo quasi mezzo secolo.
E la Cina?
La Cina cerca di sostenere che l’Artico, al di là di ogni giurisdizione, appartenga a tutti e necessiti di una governance globale. Dal 2017, il presidente Xi Jinping ha avviato rapporti di cooperazione in particolare con Norvegia e Finlandia. A gennaio 2018 è stato poi diffuso il China’s Arctic Policy, un documento ufficiale che, per la prima volta, svela una posizione ufficiale su un’area al di fuori del territorio cinese.
Per la corsa all’Artico, il governo ha poi investito ingenti somme nelle forze navali, con la dotazione, non a caso, di nuove rompighiaccio. Una quota compresa tra il 5 e il 15% del valore del commercio cinese potrebbe interessare le rotte artiche entro il 2020. I numeri rientrano infatti nel progetto “Belt and Road Initiative”. La via della seta artica è già infatti parte del progetto di sviluppo dei rapporti commerciali tra Cina ed Europa, insieme a una via di comunicazione terrestre e un’altra marittima.
Conseguenze simili a una scoperta geografica
Così come la storia ha più volte spostato il baricentro dell’economia globale, si ritiene dunque plausibile che il surriscaldamento del pianeta possa avere ripercussioni simili a quelle della scoperta di nuove terre. Realistiche dunque le preoccupazioni del Segretario di Stato USA relativamente a un’alleanza commerciale tra Pechino e Mosca. Questo nuovo asse potrebbe arrivare ad accelerare il declino dell’egemonia USA, determinando l’abbandono delle rotte commerciali tradizionali.
Elisa Ghidini