Nel 1973 Iran e Afghanistan hanno stipulato un accordo per la distribuzione equa delle acque del fiume Helmand che nasce vicino a Kabul e sfocia nel regioni umide sud orientali dell’Iran. Raisi, governatore iraniano, accusa i talebani afghani di non rispettare l’accordo, i talebani, però, affermano che non ci sia abbastanza acqua per tutti. La contesa del fiume Helmand ha radici lontane e rischia di sfociare in un conflitto.
La contesa del fiume Helmand
La disputa si è intensificata negli ultimi anni e si è accesa negli ultimi giorni. Secondo il governo iraniano, infatti, l’Afghanistan non sta rispettando gli accordi del 1973 che prevedevano una distribuzione equa delle acque del fiume tra i due Paesi. Sotto accusa è la costruzione di una diga in territorio afghano e inaugurata nel 2021. Secondo i talebani, infatti, non ci sarebbe sufficiente acqua nel bacino artificiale per garantire il giusto approvvigionamento al Paese vicino. Teheran, però, non si fida e chiede a Kabul di organizzare una commissione di esperti di ambo le parti per valutare concretamente la situazione della diga.
La prova della presenza o della mancanza di acqua deve essere un sopralluogo tecnico e reale da parte di esperti, non una dichiarazione politica dei talebani.
Cosa che, stando al governo iraniano, i talebani stanno puntualmente negando. Anzi, l’ex presidente afghano, Ashraf Ghani, ha addirittura affermato che “Kabul non regalerà più acqua gratis” suggerendo che l’Iran dovrebbe fornire petrolio in cambio dell’acqua.
L’importanza del fiume Helmand
Il fiume Helmand è un bacino idrico che nasce sulle montagne dell’Hindu Kush vicino a Kabul e scorre per 1.127 km verso sud entrando in Iran e sfociando nelle zone paludose del lago Hamoun, nelle provincie del Sistan e del Baluchistan. Essendo un corso idrico transfrontaliero i Paesi coinvolti sono legalmente vincolati alla condivisione delle acque secondo il diritto internazionale in modo equo e ragionevole.
L’accordo stipulato tra i due Paesi nel 1973 prevede che Kabul faccia defluire in Iran 820 milioni di metri cubi di acqua all’anno ma a causa della siccità, della malagestione e di un governo che non ha intenzione di collaborare, in Iran negli ultimi anni è arrivato solo il 4% dell’acqua prevista. Per questo motivo gli attriti tra i due Paesi si stanno amplificando e l’Iran ha affermato che la contesa del fiume Helmand rischia di influenzare negativamente la cooperazione tra i due Paesi.
L’Afghanistan, nel corso degli anni ha rivendicato lo sfruttamento delle acque per produrre energia e per conservare sufficienti risorse idriche da redistribuire nel Paese, notoriamente piegato dalla siccità. A valle del confine, però la situazione è drammatica: migliaia di persone nelle regioni del Sistan e del Baluchistan sono state costrette a lasciare le loro case perché la regione si è trasformata in un deserto.
La siccità
Negli anni ’90 una violentissima ondata di siccità, associato alle politiche idriche talebane (che, ad esempio, nel ’99 hanno interrotto completamente il flusso), ha avuto un impatto devastante sulla regione rendendola inospitale: le zone umide del Sistan sono diventate saline, la fauna selvatica è scomparsa con il conseguente abbandono di numerosi centri abitati. Nel 2019 la siccità è rientrata e le regioni iraniane bagnate dal fiume Helmand sono nuovamente tornate umide ed è tornata la vita nel lago Hamoun. Nel 2021, però, l’inaugurazione della nuova diga in territorio afghano ha interrotto il flusso d’acqua verso l’Iran e, quindi, la regione del Sistan è nuovamente in pericolo.
La contesa del fiume Helmand ha radici lontane ma, le tensioni si stanno acuendo e la possibilità di un conflitto non è più così remota.
I conflitti per l’acqua
In moltissime parti del mondo l’acqua è diventata un bene estremamente prezioso ed estremamente raro. Le zone aride si stanno moltiplicando e sono sempre di più le persone che ogni giorno si ritrovano a dover soffrire la sete. È evidente che la mancanza d’acqua induce le persone a spostarsi altrove per trovare condizioni di vita migliori. Ed è altrettanto evidente che in situazioni di scarsità di risorse i conflitti sono dietro l’angolo, soprattutto quando a contendersi uno stesso bacino idrico sono più Stati diversi.
I conflitti per l’acqua, infatti, negli ultimi anni sono aumentati e colpiscono regioni spesso già tormentate da guerre e povertà. Il tutto è esacerbato dai cambiamenti climatici e dall’inasprirsi delle ondate di siccità in molte parti del globo. Siccità, va da sé, implica carestie, insicurezza alimentare, povertà, migrazioni e, ovviamente, tensioni politiche e sociali che possono sfociare in veri e propri conflitti.
Le zone più a rischio
Stando al rapporto 2022 di Water Peace and Security (WPS), i luoghi più a rischio sono:
- Kenya – Etiopia – Somalia: colpite da siccità estrema e scarsità di risorse. SI calcola che più di 18 milioni di persone soffrano di malnutrizione.
- Sudafrica: dal 2015 il Paese sta affrontando una sempre più grave siccità. Il razionamento delle risorse idriche è già in atto.
- Iraq: Tigri ed Eufrate si stanno seccando e la mezzaluna fertile sta diventando un deserto. La controversia è con la Turchia che trattiene entro i suoi confini buona parte dell’acqua dei due fiumi. Sono già in atto violenze e conflitti, soprattutto nelle zone di confine.
- Iran e Afghanistan: la competizione tra i due Paesi per la contesa del fiume Helmand, come abbiamo visto, sta esacerbando i rapporti tra i due Paesi.
- Pakistan e India: i rapporti tra i due Paesi sono da sempre molto tesi e l’India, colpita dalla siccità, è stata obbligata a vietare l’esportazione di grano minacciando ancor di più l’equilibrio col Pakistan.
Possiamo fare qualcosa?
Secondo la coordinatrice WPS Susanne Schmeier, innanzitutto dobbiamo limitare gli sprechi. Ognuno di noi deve essere consapevole che l’acqua non è illimitata e che è necessario consumarla con parsimonia. Poi, è anche necessario che scienza e tecnologia offrano strumenti per ottimizzare ed efficientare la produzione agricola, soprattutto nelle aree in cui le risorse sono già poche. In ultimo è anche essenziale ridurre il degrado ambientale e prenderci cura del suolo perché un suolo degradato diventa sterile e, come purtroppo sappiamo bene viste le recenti alluvioni nel nostro Paese, anche impermeabile.
Ancora una volta, perciò, le parole chiave sono consapevolezza e cura.