La condanna a Mimmo Lucano è frutto di regole vuote e fredda legalità

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Francesca de Carolis

Di Francesca de Carolis


Nella condanna a Mimmo Lucano la legalità si separa dalla moralità dando vita al trionfo amaro di una fredda legalità che lascia tanta amarezza.


La notizia è per me di quelle difficili da digerire. Mimmo Lucano, il sindaco della Riace fatta rivivere grazie all’inserimento di famiglie di migranti, condannato a 13 anni per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. E vi risparmio il resto. Addirittura, quasi il doppio di quello che aveva chiesto l’accusa… E immagino come si sia sentito “morire dentro” come ha detto, Mimmo Lucano. Lui che si aspettava l’assoluzione.

Non ho “letto le carte”, e non m’imbarco in questioni di diritto né di politica … ma non riesco a non pensare a quel migliaio di innocenti che finiscono ogni anno in carcere e che per qualcuno sono “cosa fisiologica”  non riesco a non pensare a vicende più o meno famose, più o meno scandalose, più o meno lontane o vicine nel tempo, di condanne in primo grado di persone poi assolte in appello, che la vita si sono ritrovate distrutte. I nomi fateli voi…

Non riesco a non pensare a questo perché Domenico Lucano io l’avevo conosciuto quando era ancora piuttosto giovane, e da subito molto mi aveva colpito la visione che aveva del mondo, dei rapporti umani, dell’accoglienza, di cosa debba essere una collettività, quando sa proteggere e salvare, salvandosi, anche.

Lucano l’avevo conosciuto esattamente venti anni fa, quando avevo saputo del progetto di nuova vita che stava nascendo a Riace e… perché non andare a vedere? A Riace, allora, ci andai in vacanza, quando, grazie all’associazione Città Futura, di cui Lucano era fra i fondatori, si stava sviluppando un progetto di “albergo diffuso”.  Che è stato un modo per ridare vita alle case lasciate vuote da chi era migrato. Un progetto finanziato da Banca Etica che aveva permesso di risistemare le case che venivano poi affittate ai turisti.

Domenico Lucano allora non era sindaco, e forse neppure ci pensava, a diventarlo, ma era anima attivissima di quel borgo di origine medievale, sulle alture un po’ all’interno, fra il massiccio montuoso delle Serre calabresi e il mare della costa ionica, lì a pochi chilometri di distanza.
E i suoi sogni e il suo entusiasmo sembravano incontenibili. E raccontava, raccontava… portandoci in giro fra le strade del borgo, a visitare le nuove piccole botteghe che stavano riaprendo, i laboratori tessili dove già lavoravano le donne che con le loro famiglie erano venute dal mare… Insomma, il battito del suo cuore, pensai allora, sembrava battere al ritmo del cuore risvegliato del suo paese. Aveva, Domenico Lucano, fortissimo, il senso della comunità, e conosceva l’importanza dello spazio pubblico. Di quello accogliente che nelle grandi città abbiamo da tempo dimenticato.

Ne ho parlato altre volte, e riprendo il vecchio appunto, per ricordare un episodio che mi colpì moltissimo.

Nel bel mezzo della mia vacanza, una sera al Comune diedero una piccola festa: tutti invitati a brindare, ad assaggiare i prodotti locali, a parlare di quel che Riace stava diventando…

A un certo punto è entrato nella sala un omino dall’età indefinibile, piuttosto magro e in abiti un po’ larghi e sdruciti, ma che lì subito si è mosso come a casa, servendosi qua e là di poco cibo, senza dire nulla, come chi sa che non era necessario pronunciare parole, ma sempre sorridendo, fra ritrosia e improvvisi attimi d’espansione… Tutti lo hanno salutato con affetto, ognuno aveva per lui una parola… e quell’omino è rimasto con noi fino alla fine della festa. Indecifrabile e sereno.
“Non fa male a nessuno… E’ il nostro mattarello del villaggio”, aveva detto Domenico guardandolo con affetto”.

In altra realtà, pensai, e penso tuttora, molto probabilmente quell’uomo avrebbe perso i suoi giorni nella fredda tristezza di luoghi chiusi al mondo. Rinchiuso “per il suo bene”, magari… e per la tranquillità degli altri…

E invece: “Abita in strada- aveva spiegato Domenico Lucano-. Lo seguiamo un po’ tutti. Lo teniamo d’occhio e lo accudiamo”.

Bella idea di comunità che tutti sa accogliere, salvare e accudire. Provate a immaginare. E questa idea di comunità, pensai allora e penso ancora, dovrebbe avere un sindaco che ama e vuole vedere crescere la sua città…

Un visionario mi sembrò in quei giorni Domenico Lucano. Ma continuo a pensare che di visionari ha bisogno il mondo.

Tutto quello che poi è successo… le accuse, l’allontanamento dal paese, ora il processo, non hanno scalfito l’idea che mi ero fatta di lui, incontrando la sua anima. Della limpidezza del suo sentire, che forse è inciampata in qualche irregolarità, ma che nulla toglie alla generosità e alla bellezza del suo impegno. Che ora si scontra con una macchina fredda e implacabile.

“Quando la legalità si separa dalla moralità le regole diventano vuote, repressive, diventano strumento d’ingiustizia”, ritornano le parole di Giuseppe Ferraro, filosofo che molto sa di giustizia e carceri e dintorni… Il mio è parere personale e arbitrario, certo, ma non riesco a non vedere, nella sentenza di ieri, il trionfo amaro di tanta fredda legalità… non riesco a non vederci quelle “regole vuote, repressive”, che diventano strumento di quella ingiustizia che per qualcuno sarà pure fisiologica… ma che lascia tanta amarezza.

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