Quella del tempo è una questione con cui l’uomo si trova a fare i conti da sempre.
Tutto comincia con un terribile atto. Crono, dio del tempo, evira il padre Urano, il Cielo, facendolo staccare da sua madre Gea, la Terra. Da qui in poi comincia una successione temporale della storia. Nell’età più antica, la concezione del passare del tempo varia da una visione circolare ad una lineare. Ma solo con la filosofia greca arriviamo alle prime teorie che cercano di spiegare cosa sia davvero il tempo.
NEL MITO GRECO
Il mito greco narra le origini del dio che porta il nome del tempo, Crono.
Dal Caos primordiale ha origine Gea, la Terra, che genera spontaneamente il suo contrario, Urano, il Cielo.
Il Cielo si stende sulla Terra e non cessa mai di inseminarla, in un infinito abbraccio, al punto che essa si ritrova incinta di una prole numerosissima. Tuttavia, Urano ha da subito in odio i figli e impedisce che escano dal ventre di Gea, che soffre tremendamente. A questo punto la madre si rivolge ai figli che ha in grembo e chiede che qualcuno di loro si vendichi contro il padre. Solamente Crono, il Tempo, trova il coraggio di agire. Egli evira il proprio padre, Urano, con un falcetto, mentre è ancora nel grembo di Gea. Urano a questo punto si stacca e occupa la volta celeste, dalla quale non si sposterà più. Crono compie un gesto fondamentale per la nascita del cosmo: separa il Cielo dalla Terra.
Tra il Cielo e la Terra si crea finalmente uno spazio libero: da ora in avanti tutto ciò che verrà prodotto dalla terra potrà crescere e respirare. Anche il tempo si è trasformato. Finalmente, ci possono essere generazioni successive, che prima, invece, restavano nascoste nel ventre di Gea. Questo è significativo per comprendere la visione che hanno gli antichi: il tempo si misura nel cambiamento delle cose.
IL MODELLO CICLICO
L’uomo si accorge del cambiamento soprattutto nei cicli naturali: l’alternarsi del giorno e della notte, il susseguirsi delle stagioni, le fasi lunari ecc. Si tratta di cambiamenti ciclici. Le società arcaiche, prevalentemente agricole, sono strettamente legate alla ciclicità della natura e concepiscono il tempo come un cerchio, una ruota. È un tempo ciclico che si rigenera costantemente all’infinito.
Questa concezione del tempo viene sistematizzata a livello rituale, in ambito religioso. Il tempo viene infatti scandito da dei riti che ricorrono in determinati periodi dell’anno e vengono sempre ripetuti allo stesso modo.
Inoltre, nascono dei miti per spiegare questa ciclicità. Il nucleo più arcaico è quello dei miti legati a una divinità primordiale femminile: la Grande Madre, o Grande Dea, chiamata con nomi diversi a seconda del periodo e delle regioni geografiche. Si tratta di una dea ciclica, che ha al suo interno aspetti della vita e della morte. Ha una triplice natura di vergine, ninfa e vegliarda. È divinità celeste, sotto forma di luna; terrestre, essendo madre della vegetazione della fecondità; ipogea, essendo signora della morte e degli inferi.
Ci sono anche altri miti più esplicitamente legati alla scansione del tempo, che hanno in comune l’idea di un inizio paradisiaco a cui seguono dei cicli di creazione-distruzione-nuova creazione.
IL MODELLO LINEARE
L’altro modo, più moderno, di concepire il tempo è quello di tipo lineare. Questa concezione sarebbe da attribuire alla cultura ebraica. Secondo J.T. Fraser: “La storia smise di essere semplicemente un susseguirsi di farri e divenne, invece, un complicato intreccio di eventi che progredivano da un inizio ben preciso a un fine stabilito. La storia venne concepita come storia della salvazione, e con essa nacque l’idea di tempo lineare”. Secondo questa concezione, gli eventi sono momenti di una storia, che procede verso un fine stabilito dalla provvidenza. Questa visione escatologica spezza la ciclicità in un segmento che ha un punto di inizio e uno di fine.
Una concezione analoga si scorge anche nella visione finalistica della storia avviata in età augustea. L’Eneide di Virgilio, il poema più illustre scritto in questo periodo, ne è l’esempio: la storia di Roma viene vista come una progressione fatale di eventi che conducono al momento di massima pace e prosperità, rappresentato dal principato.
In una visione di questo tipo, la storia dell’uomo e l’azione dei singoli acquistano un valore maggiore, in quanto sono unici e irripetibili.
NELLA FILOSOFIA GRECA
Il primo filosofo a occuparsi esplicitamente della questione del tempo è Pitagora. Per lui, il tempo è ciclico: entro un determinato periodo di tempo tutto si ricrea come era stato, dunque nulla di ciò che si trova sulla terra è nuovo.
Parmenide, invece, negando il continuo trasformarsi della materia, arriva a considerare il tempo un «non ente». Solo l’essere, che è unico e immutabile, infatti, è. Tutto ciò per cui possiamo dire che «era», «sarà» è solo apparenza. Il tempo, che impone di parlare di cose passate o future, non può essere dunque reale. E anche il cambiamento è solo un’illusione.
PLATONE
Sarà Platone, nel Timeo, a dare la prima definizione del tempo. È il Demiurgo, il divino artigiano che contemplando le idee plasma la materia sul modello delle idee stesse, che lo crea, prendendo a modello l’eternità:
Allora egli pensò di creare un’immagine mobile dell’eternità e, organizzando il cielo, produsse, mentre l’eternità restava nell’unità, un’immagine che si muoveva secondo una misura, e questa noi la chiamiamo «tempo»: infatti i giorni e le notti e i mesi e gli anni, che non esistevano prima della nascita del cielo, li fece nascere nel momento in cui quello sorgeva […]. Dunque secondo tale provvidente ragione a proposito della nascita del tempo, affinché il tempo nascesse, sono sorti il sole e la luna e gli altri cinque pianeti, in vista della suddivisione e del mantenimento della misura del tempo.
(Timeo, 37 a-38 c)
Per Platone, quindi, il tempo esiste ed è la cosa più prossima all’eternità che la materia del mondo possa creare. Gli astri del cielo sono stati creati per misurarlo e per mantenerne un ritmo costante e perfetto, grazie alla circolarità delle loro orbite. Il moto circolare è, infatti, perfetto, in quanto non ha né una partenza né un arrivo.
ARISTOTELE
Aristotele rovescia il punto di vista, partendo dall’esperienza. Il tempo è, per lui, misura del mutamento. Percepiamo il tempo quando percepiamo che si verificano dei mutamenti, che ci permettono di identificare un «prima» e un «dopo». Lo definisce così:
Tempo è il numero del movimento secondo il prima e il dopo.
(Fisica, 4,11, 219 a 22-25).
Tuttavia, Aristotele si pone un problema. Il tempo, infatti, non dipende solo dal movimento, ma anche dall’anima che misura il movimento.
Qualcuno potrebbe sollevare questa difficoltà: il tempo esisterebbe o meno, se non esistesse l’anima? Se non esiste infatti ciò che può numerare, è impossibile che vi sia qualcosa che può essere numerato. […] Ma se null’altro per sua natura numera eccetto l’anima, e nell’anima l’intelletto, allora è impossibile che esista il tempo, se non esiste l’anima.
(Fisica, 4,14,223 a 21-29)
Con “numero” si intende proprio la misurazione, e ciò che viene misurato è il movimento. Ciò che misura, invece, è l’anima, che permette di cogliere un prima e un poi nella continuità del movimento. La successione spaziale del moto di un corpo (lo spostamento da un punto a ad un punto b ) diventa anche, quindi, una successione temporale. Se non ci fosse la nostra anima, il tempo esisterebbe solo in potenza e coinciderebbe col movimento stesso.
Come per Platone, anche per Aristotele il tempo viene misurato secondo il movimento del cielo, che ha un moto circolare uniforme. Tuttavia, la differenza sta nel fatto che per Platone il tempo ha una sua esistenza autonoma, mentre per Aristotele esso è solo l’unità di misura del mutamento.
Nel corso dei secoli, filosofi e pensatori hanno continuato ad elaborare nuove teorie sul tempo. Infatti, è per l’uomo indispensabile cercare di chiarire la questione. Si tratta dell’esigenza di conoscere sé stessi e di trovare la propria misura nel mondo.
Giulia Tommasi