Michele Marsonet
Prorettore alle Relazioni Internazionali dell’Università di Genova, docente di Filosofia della scienza e Metodologia delle scienze umane
A differenza di quanto è avvenuto in altri Paesi , la collaborazione universitaria Italia-Cina cresce nonostante l’uscita dalla “Via della Seta”.
Il viaggio in Cina della ministra italiana dell’Università e Ricerca, Anna Maria Bernini, assume un significato particolare. Si tratta infatti dell’ultima visita di un membro del nostro governo nella Repubblica Popolare, prima che venga annunciata ufficialmente l’uscita dell’Italia dal progetto della “Via della Seta”.
Occasione ufficiale della visita è la “Settimana Cina-Italia della scienza, della Tecnologia e dell’Innovazione”, durante la quale sarà firmato un protocollo esecutivo di collaborazione tra il nostro Paese e la Repubblica Popolare. L’Italia investirà al riguardo un miliardo e 400mila euro.
In effetti l’attuale governo si sta muovendo con i piedi di piombo. Da un lato ha accettato le preoccupazioni Usa e Ue circa l’adesione alla “Via della Seta”. Dall’altro, però, è ben attento a mantenere buoni rapporti con Pechino. Il protocollo di cui sopra fa infatti parte di un nuovo partenariato strategico destinato a sostituire per l’appunto quello della “Via della Seta”.
Da notare che Xi Jinping sta adottando un approccio politico e diplomatico soft nei confronti dell’Italia e dell’Unione Europea in genere. Ne è prova anche il fatto che il governo cinese ha annunciato che, a partire dal prossimo 1° dicembre, i cittadini di cinque nazioni Ue (Italia inclusa) potranno recarsi in Cina senza dover richiedere alcun visto. Mossa certamente significativa, come ben sa chiunque – come il sottoscritto – in passato abbia avuto bisogno del visto cinese.
Sullo sfondo restano comunque parecchi problemi. La Repubblica Popolare è accusata di sfruttare le collaborazioni universitarie per promuovere la visione del mondo cinese, che non ammette il multipartitismo e elezioni libere. Strumenti tipici usati da Pechino sono i celebri “Istituti Confucio”, inseriti negli atenei occidentali e nei quali è presente in modo massiccio la propaganda del governo e del Partito (che in pratica coincidono).
A differenza di quanto è avvenuto in altri Paesi (per esempio Usa, Canada, Olanda e Regno Unito), in Italia nessun “Istituto Confucio” è stato chiuso. Al contrario, negli ultimi anni si è registrato un incremento degli accordi di cooperazione universitaria italo-cinese. Attualmente sono in vigore oltre 700 accordi di questo tipo, e al contempo le pubblicazioni comuni di studiosi italiani e cinesi hanno registrato un aumento del 250%.
Tutto questo a riprova del fatto che, a dispetto dell’uscita dalla “Via della Seta”, i rapporti restano ottimi, e non soltanto sul piano della collaborazione universitaria. Entrambi i Paesi, insomma, paiono intenzionati a privilegiare i fattori che li accomunano piuttosto che privilegiare gli elementi di divisione.