La Cina distrugge moschee e altari, in questo modo Pechino punta all’assimilazione della minoranza musulmana del paese attraverso la distruzione dei suoi luoghi sacri. A rivelarlo un’inchiesta.
Non c’è pace per il governo cinese, finito negli ultimi mesi al centro di una guerra mediatica senza precedenti. Ad attirare l’attenzione questa volta è un’inchiesta condotta dal media britannico The Guardian e dal collettivo Bellingcat. Questa mette in evidenza la repressione della minoranza musulmana nel Paese, al tal punto che ora la Cina distrugge moschee e i luoghi di culto.
La vicenda
Secondo l’ Australian Strategic Policy Institute, Pechino avrebbe distrutto circa sedici mila moschee e luoghi di culto, solo nella regione dello Xinjiang. A dimostrarlo centinaia di immagini satellitare che mostrano i luoghi interessati tra il 2016 e il 2018. Utili anche le testimonianze di ex residenti della zona che hanno dato conferma dell’accaduto. Come il report dimostra, dal 2016 la Cina ha avviato una campagna di rimozione e distruzione di moschee e altari, danneggiati in maniera significativa. Portali, cupole e minareti sono stati rimossi. Raso al suolo anche l’altare di Imam Asim, meta di pellegrinaggio per migliaia di musulmani della regione.
La politica cinese
Uno dei primi tentativi di limitare la libertà di culto della minoranza musulmana risale al 2014. Già allora le autorità cinese avevano vietato quasi del tutto i pellegrinaggi all’altare di Imam Asim, ormai distrutto. La demolizione di luoghi come questo rientra in una campagna politica più ampia, che ha lo scopo di eliminare l’identità – culturale e religiosa – della minoranza etnica uigura. Le politiche di assimilazione di questa etnia hanno fatto sì che qualsiasi simbolo ritenuto “poco cinese” fosse eliminato, in nome del Partito Comunista. In questa direzione si colloca il fenomeno dei campi di detenzione, presentanti dalla Cina come centri di rieducazione al socialismo. L’azione cinese non sembra convincere.
Si tratta di una campagna di demolizione senza precedenti, paragonabile solo alla Rivoluzione Culturale
Lo dichiara Nathan Ruser, ricercatore dell’istituto che ha condotto l’analisi. Il parallelo con il leader Mao Zedong non accontenta il governo cinese. Pechino rilancia: sono accuse infondate e si provvederà alla protezione e al restauro delle moschee. Le minoranze etniche e religiose però, così come nel 1966, non si sentono per niente protette.
Maria Cristina Odierna