Nelle ultime settimane, i membri della Chiesa anglicana, guidata da Carlo III, si sono riuniti a Londra per il Sinodo Generale. Nel corso dell’assemblea sono stati discussi i temi dei matrimoni omosessuali e la possibilità di introdurre l’utilizzo di pronomi neutri per riferirsi a Dio.
La Chiesa anglicana sui matrimoni omosessuali
Riguardo al primo tema, il Sinodo Generale della Chiesa Anglicana si è dichiarato contrario. Tuttavia, l’assemblea ha deliberato che le coppie dello stesso sesso, unite civilmente, potranno essere benedette in chiesa.
Questa concessione che ha tutto l’aspetto di un contentino è risultata deludente per molti fedeli appartenenti alla comunità LGBTQ+. La “riforma” della Chiesa anglicana appare ancora più insufficiente se si considera che all’interno della Chiesa Episcopale (Scozia) e della congregazione protestante dei Presbiteriani il matrimonio omosessuale è già consentito da tempo.
E i pronomi?
Il secondo tema, quello dell’utilizzo di pronomi neutri per riferirsi a Dio, è rimasto aperto. La deliberazione, che richiederà un’attenta analisi teologica, dovrebbe avvenire in primavera.
In un comunicato e-mail ufficiale la Chiesa anglicana ha dichiarato: “I cristiani hanno riconosciuto fin dall’antichità che Dio non è né maschio né femmina. Tuttavia, la varietà di modi di rivolgersi e descrivere Dio che si trovano nelle Scritture non si è sempre riflessa nel nostro culto”.
Queste parole lasciano intendere che la questione teologica sull’attribuzione di un genere specifico a Dio non sarebbe nuova. Tuttavia, per secoli, la preminenza del patriarcato ha portato ad attribuire pronomi maschili a Dio e a rappresentarlo come padre o re.
Perché utilizziamo pronomi maschili per Dio?
Forse tutto è partito da una mal interpretazione del versetto 26 del capitolo primo della Genesi che recita così: «Poi Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, conforme alla nostra somiglianza, e abbiano dominio sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutta la terra e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”»
Per molto tempo i religiosi avrebbero interpretato questo versetto facendo coincidere la parola “uomo” con la parola “maschio”.
Secondo i teologi, tuttavia, l’uomo in questo versetto della Genesi sarebbe da intendere come essere umano. Quindi indicherebbe tanto le donne quanto gli uomini.
Del resto, mi sembra che basti leggere il versetto 27 per convincersi di questa teoria: “Dio creò l’uomo a sua immagine; lo creò a immagine di Dio; li creò maschio e femmina.”
Le motivazioni dietro alla rappresentazione maschile di Dio nel corso della storia sarebbero quindi più da attribuire a questioni culturali.
Le questioni di fede non sono di certo immuni dall’atmosfera culturale e dall’epoca in cui si collocano. Inoltre, non è raro che vengano strumentalizzate per scopi economici e politici. Basta pensare alle giustificazioni teologiche messe in piedi per legittimare la vendita di indulgenze o il potere di carattere divino attribuito ai sovrani assoluti.
Allo stesso modo, non sembra assurdo pensare che l’attribuzione di pronomi maschili a Dio sia stata uno strumento utile a giustificare una presunta superiorità dell’uomo rispetto alla donna.
Poi, sicuramente, come accade per molti fenomeni culturali, la questione è bidirezionale: se da un lato la rappresentazione maschile di Dio ha contribuito a rinforzare il patriarcato, dall’altro il patriarcato stesso ha portato inizialmente a questo tipo di rappresentazione.
Attenzione a rainbow washing e pinkwashing
Seguendo lo svolgersi di queste discussioni non posso fare a meno di sentire puzza di rainbow washing e pinkwashing.
In particolare, il termine rainbow washing indica la strumentalizzazione di tematiche legate alla comunità LGBTQ+ a scopo di marketing. Il pinkwashing è un fenomeno simile che si riferisce più in particolare alla strumentalizzazione dei diritti delle donne e del concetto di parità di genere.
Spesso si parla di Rainbow e pinkwashing in riferimento a determinati brand, che sfruttano queste tematiche per le proprie strategie pubblicitarie, senza tuttavia credere realmente alla causa. Lo scopo di queste tecniche non è infatti quello di rivoluzionare lo status quo, ma solo quello di “farsi belli” di fronte a determinate categorie di consumatori.
La provocazione che voglio lanciare è la seguente: e se la Chiesa anglicana, guidata dal monarca Carlo III, stesse agendo allo stesso modo?
Lo scopo sarebbe piuttosto chiaro: tanto la chiesa quanto la monarchia sono ormai istituzioni vetuste agli occhi delle nuove generazioni; dargli un aspetto più progressista potrebbe contribuire a evitare un graduale declino del loro potere.
Non fraintendetemi, trovo che il fatto stesso che la Chiesa anglicana discuta di tematiche LGBTQ+ e di parità di genere rappresenti già di per sé un passo avanti. Tuttavia, sarebbe altrettanto importante che alle questioni nominalistiche venissero affiancate questioni più sostanziali.
Infatti, non posso fare a meno di comprendere il malcontento della comunità LGBTQ+ britannica di fronte ad una chiesa che da un lato chiede scusa per le discriminazioni subite in passato dalla comunità, dall’altro ripete che il Santo Matrimonio è esclusivamente quello tra uomo e donna.
In definitiva, mi sembra di capire che entrambi le questioni abbiano fatto più arrabbiare i conservatori che gioire la comunità LGBTQ+. Infatti, mentre i primi ritengono queste proposte rivoluzionarie e pericolose, a molti membri della comunità LGBTQ+ sono apparse piuttosto insufficienti.
La contraddittorietà della Chiesa cattolica
C’è da dire che dal canto suo la Chiesa cattolica è ancora più goffa nel cercare di presentarsi come un’istituzione progressista.
Infatti, Papa Bergoglio sembra non riuscire a mettersi d’accordo con sé stesso. Anche se sostiene che “Siamo tutti figli di Dio, e Dio ci ama come siamo”, afferma comunque che, pur non essendo un crimine, l’omosessualità rimane lo stesso un peccato.
In generale poi la Chiesa cattolica rimane molto più chiusa della Chiesa anglicana riguardo a questioni come l’aborto. Senza contare che ad oggi i sacerdoti cattolici possono essere soltanto uomini.
Alcuni pensieri conclusivi sulle discussioni della Chiesa anglicana
La Chiesa anglicana in certi casi sembra più interessata a veicolare un’immagine progressista di sé che a portare un cambiamento sostanziale. Tuttavia, sta comunque facendo alcuni passi verso la comunità LGBTQ+.
Sicuramente l’utilizzo di pronomi neutri per parlare di Dio potrebbe aiutare a promuovere l’utilizzo di un linguaggio più inclusivo. Inoltre, l’abbandono dei pronomi maschili aiuterebbe a lasciarsi alle spalle secoli in cui l’interpretazione delle Scritture ha contribuito a rafforzare il patriarcato.
Tuttavia, non bisogna accontentarsi delle questioni nominalistiche. Certo, il linguaggio è importante, ma il vero cambiamento si vede nelle questioni sostanziali.
Virginia Miranda