Le climate litigation arrivano in Italia con la causa contro Eni di Greenpeace e ReCommon

la causa contro Eni

Eni, ci vediamo in tribunale”. Con questo slogan, Greenpeace Italia e ReCommon, insieme a dodici cittadine e cittadini italiani, hanno avviato una causa civile contro il cane a sei zampe. La loro campagna, “La Giusta Causa”, fa sbarcare le climate litigation anche in Italia volte ad imporre, tramite azioni legali, il rispetto delle normative ambientali a governi e aziende. La causa contro Eni è la prima del suo genere nei confronti di un ente privato. Non un ente privato qualsiasi, ma la più influente multinazionale italiana nel mondo in ambito energetico.

“La Giusta Causa” contro i crimini climatici del cane a sei zampe

Il 9 maggio è stato depositato al Tribunale di Roma l’atto di citazione che accusa l’Eni di aver recato danno non solo all’ambiente ma anche ai cittadini italiani. Da qui il nome della campagna di Greenpeace e ReCommon, associazione impegnata nella lotta contro gli abusi di potere a difesa dei diritti umani e dell’ambiente. La causa contro Eni è infatti una “Giusta Causa” perché negli ultimi settanta anni non ha solo compromesso fortemente la salvaguardia del pianeta, ma ha anche minato inalienabili diritti.

Sulla base di quanto affermato dal Codice civile, in particolare dagli articoli 2043, 2050 e 2051 che obbligano chiunque abbia cagionato un danno ingiusto a risarcirlo, le due associazioni chiedono al Tribunale di Roma di accertare le responsabilità della multinazionale nella violazione dei “diritti umani alla vita, alla salute e a una vita familiare indisturbata”. Lo ha spiegato Antonio Tricarico di ReCommon che in un’intervista con “Radio Onda D’Urto”, ha affermato che l’Eni con la sua strategia è il principale blocco alla transizione energetica in Italia”. “La Giusta Causa” condanna anche il Ministero dell’Economia e delle Finanze e la Cassa Depositi e Prestiti S.p.A di beneficiare dall’inquinamento provocato da Eni. Questi vengono chiamati in causa in quanto sono fra i più influenti azionisti dell’azienda con oltre il 30% delle quote.

Il primo contenzioso climatico italiano

Quella di ReCommon e Greenpeace è una delle 2.276 azioni legali avviate negli ultimi 8 anni contro società energetiche e non solo. Le associazioni e i cittadini di diversi paesi le hanno accusate di non aver adottato delle politiche in linea con gli obiettivi internazionali sul clima. Di conseguenza, le ritengono responsabili a pieno titolo dei sempre più frequenti disastri climatici.

Il caso più celebre, che costituisce il precedente diretto all’azione delle due associazioni italiane, è quello verificatosi nei Paesi Bassi nel maggio 2021. Grazie ad un processo promosso principalmente da Greenpeace Netherlands e Friends of earth Netherlands, il tribunale dell’Aja ha imposto alla compagnia petrolifera Royal Dutch Shell di rivedere la sua strategia industriale. Una sentenza storica che ha obbligato un colosso a ridurre le sue emissioni di gas a effetto serra del 45% entro il 2030. Questa importante vittoria, insieme alle numerose climate litigation che stanno attraversando l’Europa, è stata il segno che i tempi fossero finalmente maturi per denunciare una delle aziende più inquinanti al mondo.

La causa contro Eni: il maggiore emettitore di CO2 in Italia

Chi inquina e devasta il nostro paese deve pagare”. Greenpeace e ReCommon ne hanno abbastanza delle finte politiche green di Eni. Se gli spot televisivi raccontano di un’azienda che lavora per una transizione energetica verso fonti sostenibili, i fatti dicono ben altro. Nel 2022, l’80% degli investimenti era ancora diretto al business fossile, nonostante in occasione della pubblicazione del Report Annuale Eni 2022 l’amministratore delegato Claudio Descalzi parlasse di un “avanzamento dei piani di decarbonizzazione”.

Non è dunque difficile capire che quello di Eni e di Plenitude, società del gruppo Eni “impegnata” nella produzione di energia sostenibile, sia solo greenwashing. Per questa ragione le due organizzazioni, fiancheggiate dai dodici cittadini italiani, vogliono imporre alla multinazionale di ridurre le emissioni del 45% rispetto ai livelli del 2020. L’attuale strategia industriale violerebbe infatti gli impegni presi dall’Italia nel dicembre del 2015 firmando l’Accordo di Parigi. Entrato in vigore nel novembre del 2016, questo vuole limitare l’aumento della temperatura media terrestre a 1,5 °C.

Tuttavia, rispettare questo e gli altri impegni dell’Accordo risulta difficile, se non impossibile, se colossi come l’Eni continuano a sottrarsi alle loro responsabilità. Con il suo enorme volume di emissioni di gas serra, superiore a quello dell’intera Italia, Eni alimenta incurante il cambiamento climatico. Eppure, la comunità scientifica non fa che sottolineare l’urgenza di prendere decisivi provvedimenti nei confronti di uno dei problemi più urgenti della nostra era. Si è soliti dire “meglio prevenire che curare”. Adesso tuttavia non si parla più di prevenzione, si tratta di evitare le conseguenze peggiori di una crisi climatica che ha già fatto sentire i suoi effetti nefasti.

Dodici cittadini insieme a ReCommon e Greenpeace: non è più possibile ignorare i campanelli d’allarme

Alluvioni, inondazioni, erosione costiera dovuta all’innalzamento del livello del mare, ondate di calore… ce n’è abbastanza per una buona dose di eco ansia. La causa contro Eni vuole imputare l’azienda per le sue gravi responsabilità nei confronti di disastri ambientali simili. Non possiamo più permetterci di stare a guardare, lo ha ricordato nuovamente Antonio Tricarico:

Il nostro Paese è già oggi tra le zone più esposte di tutto il Mediterraneo ai cambiamenti climatici. Sarebbe criminale mettere la testa sotto il tappeto e non agire, non guardare a chi ci ha portato a questa situazione. Per cui ReCommon e Greenpeace hanno deciso di metterci la faccia, nelle aule di tribunale, per una giusta causa, urgente, che chiede giustizia e riconoscimento delle responsabilità di Eni come grande emettitore.”

Le due associazioni ambientaliste non sono sole. Insieme a loro, dodici tra cittadini e cittadine hanno presentato l’iniziativa legale contro Eni. Sono attivisti vicini a Greenpeace e ReCommon ma soprattutto sono cittadini che hanno sperimentato sulla propria pelle i pericolosi effetti della crisi ecologica. Alcuni di loro sono appena ventenni. È il caso della torinese Rachele Caravaglios che soffre gli effetti della siccità in Piemonte. Rachele sa che se vuole garantirsi un futuro domani deve agire oggi rivendicando il suo diritto a vivere in uno Stato che sia responsabile nei confronti dell’ambiente. Sono spesso i giovani come lei a portare avanti le climate litigation. Se non agiamo in fretta, è sulle loro spalle che peserà l’enorme responsabilità di salvare un mondo ad un passo dal collasso ambientale.

La causa contro Eni potrebbe rappresentare un momento storico nella lotta per la salvaguardia del pianeta in Italia. Greenpeace e ReCommon chiedono giustizia per il pianeta ma anche per le persone. Chiedono che i diritti alla vita, all’acqua e alla salute vengano tutelati così come deve essere tutelato l’ambiente grazie ad una transizione verso fonti di energia rinnovabili. “La Giusta Causa” ci dice che è arrivato il momento di smetterla di usare l’ecologia come strategia di marketing. Le parole non ci salveranno dalla crisi ecologica, ma i fatti possono ancora farlo.

Caterina Platania

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