Il 21 aprile 1927 il Gran Consiglio Fascista presieduto da Benito Mussolini, Capo del Governo, promulgò la Carta del Lavoro che costituisce uno degli atti fondamentali della Rivoluzione Fascista.
È il 21 aprile 1927 quando il Gran Consiglio del Fascismo istituisce la Carta del Lavoro, insieme ai presidenti delle Confederazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori. La data era stata scelta con accuratezza. Coincideva infatti con il Natale di Roma, tanto caro a Mussolini in quanto appresentava “data immortale da cui ha inizio il lungo, faticoso, glorioso cammino dell’Italia”.
La Carta del Lavoro rappresentava uno dei momenti emblematici del Regime, l’enunciazione dei principi fondamentali del nuovo Stato. Fondamentale aspetto di questo testo legislativo è la subordinazione dell’economia alla politica, che mette in evidenza la fondamentale differenza rispetto agli altri sistemi politici, in cui punto focale è proprio la formale indipendenza dell’una rispetto all’altra. Il principio dominante era lo statismo (il dominio dello stato sulla società), di cui il fascismo è la variante italiana.
La nascita del corporativismo
La Carta del Lavoro conta trenta enunciazioni, suddivise in quattro capi, regolanti i rapporti tra datori di lavoro e lavoratori. Dello Stato corporativo e della sua organizzazione. Del contratto collettivo di lavoro e delle garanzie del lavoro. Degli Uffici di collocamento. Della previdenza, dell’assistenza dell’educazione e dell’istruzione.
Questo documento segna la nascita ufficiale del Corporativismo. Infatti, il 13 dicembre 1928, lo Stato corporativo fascista emanò le corrispettive leggi. Le corporazioni costituiscono l’organizzazione unitaria delle forze della produzione e ne rappresentano integralmente gli interessi. In virtù di questa integrale rappresentanza, quindi, essendo gli interessi della produzione interessi nazionali, le corporazioni sono riconosciuti come organi di stato dalla legge.
Le principali dichiarazioni della Carta del Lavoro
Le principali dichiarazioni della Carta del Lavoro sono le seguenti:
la Nazione è una unità morale, politica ed economica, che si realizza integralmente nello Stato fascista. Il lavoro, sotto qualsiasi forma è un dovere sociale; solo a questo titolo è tutelato dallo Stato: suo fine non è soltanto il benessere dei produttori, ma anche lo sviluppo della potenza della Nazione.
Nel corso del 1927, quindi, lo Stato mette in atto diverse politiche deflattive. Come unica conseguenza si ottiene la riduzione dei salari: tutte le corporazioni e associazioni categoria, di comune accordo con gli industriali decidono un abbassamento generale del 10% dei salari dal 24 maggio. A fronte di queste decisioni i lavoratori si oppongono al divieto di sciopero, che era stato stabilito con la Legge Rocco sulle corporazioni. Dal 3 aprile 1926 il regime aveva attuato la fascistizzazione in campo sindacale e la soppressione dei sindacati e delle associazioni di categoria antifasciste. In questo periodo si contano circa 8000 condanni per reati sindacali.
In sintesi la Carta del Lavoro sanciva la fine di qualsiasi possibilità di organizzazione e di difesa autonoma di un lavoratore, la sua piena subordinazione al datore di lavoro e confermava il ruolo dello stato quale unico regolatore dei rapporti tra le classi e i gruppi sociali.