Dopo tre anni di fermo, il 22 aprile è tornata a Chieuti, in Puglia, la Carrese, la tradizionale corsa con i buoi originaria del Basso Molise. E se la popolazione locale gioisce, da altre parti arrivano le condanne nei confronti di una pratica anacronistica e brutale che vede gli animali pungolati con bastoni chiodati per la ricreazione dei presenti.
Una pratica inaccettabile
La Corsa dei Carri, detta Carrese, ha una trascorso plurisecolare. L’avvento della primavera e la speranza di un raccolto favorevole si intrecciano a motivi strettamente religiosi nelle corse con i buoi dedicate ai santi patroni locali. Il 2022, per i sindaci dei paesi coinvolti, vuole simboleggiare la rinascita dopo la pandemia e la Carrese, in quanto rituale connesso con il rinnovamento, ne sarebbe l’emblema. Ad aprile, dopo uno stop durato tre anni, si è svolta la prima corsa a Chieuti. Ora tocca ad altri comuni basso-molisani che tradizionalmente ospitano l’evento: San Martino in Pensilis (30 aprile), Ururi (3 maggio) e Portocannone (6 giugno). Si tratta di luoghi storicamente legati in modo indissolubile al culto.
Quella che vuole configurarsi come una tradizione culturale festosa, tuttavia, rivela tutt’altro volto nella pratica. I buoi vengono legati a carri adornati per l’occasione e, quindi, costretti a percorrere a ritmo forsennato dai tre ai nove chilometri. Colpiti senza sosta con lunghe aste di legno per incentivare la velocità (che, tristemente, equivale a spettacolo), gli animali sono alla mercé dello sguardo compiaciuto degli astanti.
Gli abitanti di queste aree hanno attrezzato con anticipo i balconi delle case, entusiasti all’idea di celebrare una festa non immune da una sottile forma di crudeltà. Niente di nuovo, purtroppo, se si pensa a ricorrenze come la corrida o il Palio di Siena, che finiscono talvolta in tragedia a causa della prevaricazione umana.
Una domanda, allora, si rende necessaria. È davvero ammissibile restare ancorati a usanze antiche che comportano lo sfoggio di forza e controllo sulla natura da parte dell’uomo per scopi, ormai, riducibili al mero intrattenimento?
Stando alle parole dei sostenitori delle corse, i buoi sono monitorati e non sono esposti a danni. Ma basta cercare su Internet per trovare decine di video che immortalano istanti di incontrovertibile sofferenza.
Inconsistenti giustificazioni
L’eurodeputata Eleonora Evi, co-portavoce nazionale di Europa Verde, ha attaccato senza riserve le Carresi. Ha definito inammissibile il fatto che la dignità di animali tanto pacifici venga soverchiata. Ancor più grave è che ciò avvenga «tirando in ballo un significato religioso che è invece lontano anni luce da queste pratiche crudeli, che sono un insulto all’idea stessa di civiltà». Evi ha anche rimarcato come sia vergognoso che i soldi dei cittadini siano indirizzati al finanziamento di attività antidiluviane cui viene conferita una «impropria etichetta culturale, con la colpevole complicità delle istituzioni». L’appello dell’eurodeputata si aggiunge ai numerosi tentativi portati avanti dagli attivisti, in questi anni, per mettere fine alla violenza sugli animali.
Per giustificare la valenza, anche presente, delle corse, le comunità si richiamano a una simbologia ormai insostenibile. I buoi, che rappresenterebbero l’imprevedibilità della natura, devono poter essere domati col favore dei patroni, nell’augurio di una stagione di prosperità.
Di fatto, però, le Carresi si riducono a uno show non troppo diverso da un’esibizione circense. In tali occasioni, si assiste soltanto a una sostanziale oppressione di creature impossibilitate a difendersi. In fin dei conti, non è l’animale a essere protagonista, ma l’uomo che si bea della sua posizione di superiorità.
Madre natura
Tanti incidenti si sono verificati in circostanze apparentemente liete in cui l’uomo pensava di avere il dominio sulla natura. Nel 2018, per esempio, proprio durante la Carrese, uno spettatore è stato ucciso da un cavallo in corsa accanto ai buoi. Un dramma che, forse, si poteva scongiurare.
È evidente che urge un mutamento di mentalità, all’insegna di una maggiore simbiosi con l’ambiente che non contempli il suo sfruttamento. Per farlo è indispensabile non lasciarsi sedurre dal gusto di una spettacolarizzazione dilagante, estranea al rispetto. Una tradizione può essere infatti mantenuta viva avvalendosi di una maggiore sensibilità, senza che il significato ne sia scalfito.
Raggiungere un equilibrio con la natura attraverso un rapporto che punti alla reciprocità, anziché essere polarizzato sull’uomo e i suoi egoismi: allora si potrebbe parlare di una vera rinascita.